5. Musurgia Rhytmica

5.1 Osservazioni

Sappiamo che la musurgia mirifica è stata concepita per comporre esclusivamente musica vocale, e che la procedura compositiva prende le mosse dal testo il quale è in due tempi e modi diversi la variabile determinante del carattere del brano: sul piano del significato e su quello del significante. Il significato del testo ha valore nel momento della dispositio, influenzando le scelte che il compositore con la musurgia mirifica deve operare; la considerazione al livello del significante ha guidato direttamente Kircher nell’elaborazione delle tabellae melotacticae e soprattutto nella realizzazione delle sequenze di notae metrometrae: di questa dimensione ci interesseremo ora. Esaminando le prescrizioni di carattere generale che egli ha proposto e gli esempi da lui forniti saremo in grado di comprendere il criterio seguito nell’elaborazione delle tabelle ritmiche di notae metrometrae.

Nella sezione (MU B 27-45) dedicata alla musurgia poetica Kircher esamina infatti il testo sul piano del significante, nei suoi aspetti ritmici e metrici: egli cerca di spiegare come il compositore dovrebbe scegliere (e come egli di fatto ha scelto) i valori delle note in relazione alla struttura dei versi che bisogna musicare. Kircher sottolinea la distinzione esistente fra la metrica poetica in senso stretto, cioè quella ormai desueta avuta in eredità dalla poesia latina, e la metrica musicale, che della prima sarebbe una versione semplificata e ridotta: anche terminologicamente egli marca questa diversità, utilizzando due diversi aggettivi, poeticum e harmonicum, per caratterizzare nel corso della sua esposizione i due differenti punti di vista.

In realtà ci troviamo decisamente nell’ambito di una metrica quantitativa e non più qualitativa:[136] per quanto Kircher utilizzi la terminologia classica,[137] egli sfrutta nomi antichi per indicare concetti nuovi. Non solo per l’ipotetico musurgus che applicasse le tecniche della composizione mirifica, ma per tutti i teorici del tempo, e già da molto tempo, la terminologia indicativa della quantità delle sillabe brevi o lunghe era ormai un flatus vocis. Gli stessi teorici di stretta fede umanistica della Camerata, o della musique mesurée à l’antique,[138] applicavano gli antichi termini alla moderna metrica quantitativa: come sillabe “lunghe” indicavano le sillabe marcate dall’accento tonico, mentre le sillabe “brevi” erano in realtà sillabe atone.[139]

Non sarà quindi produttivo sottolineare con pervicacia gli errori (e sono molti) commessi da Kircher nella definizione e descrizione dei metri poetici. Sarà invece molto interessante esaminare come la struttura degli accenti tonici del verso venga sovrapposta agli schemi accentuativi della battuta, ovvero in che misura la musica cerchi di osservare le parti forti e deboli del testo. Infatti, pur affermando che “magnam habet cognationem Musica cum Poësi” (MU A 249), Kircher non è stato promotore di una dipendenza deterministica della musica dal testo; egli ha messo in luce l’impossibilità di istituire un rapporto univoco fra la distribuzione degli accenti tonici di un testo e il ritmo musicale, criticando aspramente nello specifico le opinioni espresse in tal senso da Mersenne[140] e manifestando di essere consapevole di una relazione complessa fra andamento ritmico del testo, struttura della battuta e condotta melodica.

La sezione è articolata in sei capitoli corredati da abbondanti esempi; partendo da considerazioni di carattere generale l’attenzione viene successivamente articolata focalizzando progressivamente verso il particolare.

5.2 Caput I. De Rhythmicae artis vi & efficacia

Kircher attribuisce alla voce notevoli poteri sull’animo dell’uomo: “Vox humana ad imitandum provocat” (MU B 27). Questa forza viene incredibilmente moltiplicata dalla scansione ritmica della parola, grazie alla intrinseca potenzialità di un processo ordinato.[141] Ogni struttura ritmica della parola (piede, metro) possiede un carattere ben preciso che con il proprio andamento può influire sulla psiche dell’uomo. Già gli antichi sottolinearono la forza psicagogica del ritmo: “Magistri vinculis veluti iniectis orationes suas harmonica quadam mensura constringebant ut ipsa verborum mensura interni animi affectibus praecise congrueret” (MU B 27). Quando al ritmo della parola poetica recitata viene unita la musica, le capacità espressive aumentano ancora di più: “multo maiorem in Musica poesi sive Rhythmica energiam habere compertum est” (MU B 28).

Quale la fonte della forza del ritmo? Secondo Kircher quando l’ordine del movimento ritmico è strutturato in modo tale da porsi in risonanza con i moti dell’animo e i suoi affetti interni, gli effetti di tale corrispondenza saranno prodigiosi: “si is interni animi affectibus commensuratus respondeat, commensuratus autem correspondebit” (MU B 28). Appare abbastanza plausibile che Kircher intendesse riferirsi ad una influenza “per simpatia”, agente come una risonanza acustica degli spiriti animali. Tale risonanza poteva essere efficace perché esisteva secondo Kircher una omologia fra il ritmo e l’animo umano: “Est enim ut paulo ante quoque dixi, nescio quid inter animum nostrum motusque harmonicos & Rhythmicos sympathicum” (MU B 28). La mia ipotesi è confermata dal riferimento alla sezione “De magnetismo Musicae & Tarantismo” contenuto nel III libro della Ars magnetica.[142] Tuttavia sembra che Kircher volesse anche alludere a quella che noi definiremmo un’affinità fra la curva dinamica dei sentimenti e la curva dinamica del ritmo. Egli affermò che gli animi motus lenti necessitano di ritmi lenti, mentre affetti veloci richiedono ritmi veloci: “Celeres animi motus celer & velox sequatur mensura; tardos tarda” (MU B 28).[143]

Kircher mostrò come a suo parere la forza “per simpatia” del ritmo si esprimesse anche a livello delle forze naturali e animali, consentendo la cura di molte malattie: tutto il Liber IX Magicus (MU B 200-363) tratta in vario modo questi argomenti.

5.3 Accentus e Rhythmus

Le argomentazioni in merito all’unità ritmica elementare, l’accento, sono sempre state controverse già sul piano strettamente terminologico. Kircher ha puntualizzato subito che l’accento indica la “quantitas intensiva tenoris”, quindi “nihil aliud est quam ratio elevandae aut deprimendae, quoad tonum, syllabae” (MU B 28): l’accento è un accento tonico, una “elevatio aut expressio vocis” (ibidem) e indica se la voce deve essere sforzata o trattenuta nella pronuncia. Tuttavia Kircher ha indicato due altri possibili referenti di questo termine: esso non solo poteva indicare la già espressa quantitas intensiva tenoris, ma anche la quantitas intensiva temporis e la quantitas orta ex accentu, id est mora. Vale a dire che con accentus si può indicare anche la polarità longa/brevis di una sillaba e anche un fenomeno di prolungamento nel tempo del suono, cioè un’eco: “imago per aerem propagata [quae] perdurat in aere” (MU B 29).

Nella lettura metrica le sillabe lunghe venivano a durare il doppio delle sillabe brevi: Quintiliano affermava che “[…] longam esse duorum temporum, brevem unius, etiam pueri sciunt”;[144] Kircher invece ha affermato che al musicista non deve interessare questa quantitas intensiva temporis, questo valore temporale espresso dall’accento: egli deve prestare attenzione solo all’accentazione prosodica.

Per quanto il ritmo si dimostri efficace al di là degli schemi della civiltà e della cultura ed eserciti la propria forza sulle persone colte e i bifolchi, sugli uomini e gli animali e perfino sugli oggetti inanimati, secondo Kircher ogni popolo possiede propri peculiari tratti di accentazione prosodica, che sono tipici di ciascuna lingua nazionale. Questa tesi è stata affrontata approfonditamente da Kircher nella sezione dedicata alla panglossia musurgica (MU B 126-141).

Dopo avere sottolineato l’importanza del ritmo in senso generale, Kircher lo ha definito con maggior proprietà: “[…] Rhythmus nihil aliud [est], quam sonus quidam proportionatus ex tardis & velocibus motis” (MU B 30).[145] In questa accezione il ritmo è comune a musicisti, poeti e oratori: tuttavia, mentre i poeti hanno a che fare con sillabe brevi e lunghe che possiedono tutte, verbi gratia, la stessa lunghezza e la stessa brevità e devono rispettare la quantitas di tutte, il musicista gode di ben altra licenza. Non solo non deve osservare assolutamente il valore temporale relativo fra brevi e lunghe: “Apud Musicos non tam praecise iuxta naturam sumitur syllabarum correptio et productio” (MU B 29); addirittura dovrà considerare come valore discriminante la quantità (per meglio dire la presenza o l’assenza dell’accento tonico) di una sola sillaba, la penultima. Egli in Mu B 40 ha affermato che

[…] in poetica harmonica non praecise spectari syllabarum quantitatem, sed accentum tantum rationem haberi, qui potissimum in media aut penultima vocum syllaba elucescit.

Già molti secoli prima il Venerabile Beda aveva affermato:

Videtur autem rhythmus metris esse consimilis, quae est verborum modulata compositio non metrica ratione, sed numero syllabarum ad iudicium aurium examinata.[146]

Questa era la situazione di cui era possibile verificare gli effetti nel vasto corpus dell’innografia cristiana latina: in questo campo dal XII secolo si assumeva come determinante la quantità della penultima sillaba.[147]

5.4 Caput IV. De pedibus Rhythmorum

Il primo livello di strutturazione degli accenti è il piede: “Pes metricus itaque nihil aliud est quam versus, Metri, seu Rhythmi pars certo syllabarum numero atque ordine definita” (MU B 30). Come già abbiamo avuto modo di sottolineare, Kircher ha evidenziato come i poeti potessero disporre di due soli valori quantitativi e temporali, mentre i compositori potevano scegliere fra una grande varietà di valori temporali: uno stesso metro, ad esempio uno spondeo (due sillabe lunghe) può essere espresso in musica con due semibrevi, oppure due minime, o due semiminime. Sbagliava chi affermava il contrario: rivolgendosi con aspre critiche a Mersenne che era un loro seguace,[148] è come se il bersaglio delle critiche di Kircher siano stati soprattutto gli umanisti della musique mensurée à l’antique, per i quali il ritmo della musica doveva essere strettamente soggetto al ritmo del verso. Essi nelle realizzazioni più estremistiche traducevano le sillabe lunghe esclusivamente con le minime e le sillabe brevi con le semiminime.

Esaminiamo brevemente la tassonomia elaborata da Kircher.

5.4.1 I piedi armonici bisillabi

Kircher ha classificato i piedi non secondo la quantità di ciascuno,[149] ma secondo il numero delle sillabe, perché il suo interesse era dettato dalle esigenze di definire lo schema ritmico di un testo da musicare.

I piedi presi in esame (MU B 32) sono: spondeo, trocheo (choraeus), pirrichio e giambo.

Vengono già presentate alcune cautele da osservare nel musicare tali piedi, di tipo agogico e di tipo melodico: il pirrichio non può avere valori troppo brevi per non risultare troppo affannato (MU B 32); il giambo deve essere espresso tramite un andamento melodico discendente perché “vix [..] in ascensu tolerari potest ob accentum gravem” (ibidem). Infatti secondo Kircher l’unione di sillaba grave in ultima posizione e intervallo ascendente era così goffa da muovere al riso. Egli tuttavia non ci ha fatto capire il motivo di questa sua opinione. Abbiamo comunque una prima conferma della correlazione fra schema del piede ritmico e andamento melodico.

5.4.2 I piedi armonici trisillabi

I piedi trisillabi sono divisi da Kircher (MU B 33) in due ampie categorie: i mesobrachi, piedi con la sillaba centrale breve o per meglio dire atona e i mesomacri, piedi con la sillaba centrale lunga, cioè accentata.

Appartengono al gruppo dei mesobrachi i seguenti piedi ritmici: tribraco, dattilo, anapesto e cretico. Il gruppo dei mesomacri invece è composto da molosso, bacchio, palimbacchio (antibacchius), amfibraco.

Il musicista deve osservare alcune essenziali precauzioni nel metter in musica un certo piede, e Kircher espone un “Modus certus & aptissimus, quo metrici pedes harmonici, exacte & naturaliter sine periculo & sillabicae pronunciationis soloecismo accomodari possunt” (MU B 34). Si tratta di una serie di prescrizioni che il compositore deve seguire: stupisce questa serie di prescrizioni, dal momento che comunque l’operatore della musurgia mirifica non compone musiche ma assembla parti già preparate: tuttavia l’aver esaminate brevemente ma con attenzione questa parte ci sarà utile valutando le basi materiali del metodo compositivo, cioè le strutture delle tabellae melotacticae.

In primo luogo Kircher ha definito alcuni punti circa la condotta melodica: nei trisillabi il progressus harmonicus può essere “anobatus, isobatus, katobatus” (MU B 33). Il progressus anobatus si verifica quando il piede segue una condotta melodica ascendente, sia per grado congiunto sia per grado disgiunto; isobatus indica invece che la melodia insiste sempre sullo stesso grado, mentre katobatus indica una linea melodica discendente. Secondariamente Kircher ha sottolineato (ibidem) l’importanza di osservare con cura la disposizione di arsi e tesi, cioè dei tempi forti e deboli, perché ad esempio il molosso (tre sillabe lunghe) soffre la posizione in arsi. In terzo luogo egli ha fatto osservare che alcuni piedi trisillabi preferiscono i tempi perfecti (ternari) mentre altri prediligono i tempi imperfecti (binari);[150] come quarto punto ha sottolineato la grande importanza dell’uso delle note puntate. Come sempre Kircher ha enunciato semplicemente alcune prescrizioni senza spiegare le proprie scelte: alcuni esempi illustrativi hanno valore puramente empirico.

La vera preoccupazione di Kircher è stata il ribadire che non si doveva considerare la quantità sillabica come la variabile che determinava il valore temporale delle note: questo avrebbe indotto in gravissimi errori “..] praesertim si ascensus descensusque notarum nulla ratio habeatur” (MU B 34). Egli ha rivolto le proprie critiche (ibidem) a Mersenne che nella Harmonie Universelle, fornendo il paradigma per il Cantus dactylicus,[151] aveva utilizzato uno schema ritmico fisso minima-semiminima-semiminima per riflettere lo schema del dattilo lunga-breve-breve, incorrendo inoltre a giudizio di Kircher in gravissimi errori melodici, che tuttavia non sono stati specificati. Ecco comunque il paradigma in questione:

mersenne
Esempio musicale

La sillaba mediana, che è atona, viene sempre pronunciata su un tempo forte della battuta, cosa che secondo Kircher avviene con grande fastidio per l’orecchio. Come aggravante bisogna notare che tale sillaba viene raggiunta con un movimento melodico ascendente. Ricordiamo che il dattilo è un piede di tre sillabe in cui la prime è accentata: sono dattili nel significato attribuito da Kircher le parole proparossitone (come ad esempio Nápoli, Bérgamo).

Ecco quindi la “Regula I” (MU B 35): il progressus anobatus deve essere escluso quando il testo presenta un piede la cui sillaba centrale è breve e quindi atona (mesobracus); ottimo sarà il progressus katobatus e discreto, perché neutro, il progressus isobatus. Al contrario con i piedi mesomacri la cui sillaba centrale è accentata dovrà essere evitato il progressus katobatus a favore del progressus anobatus.

L’appunto mosso a Mersenne riguardava non solo (o non tanto) la fissità dello schema ma anche (o soprattutto) la collisione fra schema ritmico del verso e struttura ritmica della battuta, cioè la presenza di sillabe atone su tempi forti e viceversa: la “Regula II” (MU B 35) fornisce gli strumenti necessari per evitare simile solecismo. I piedi mesobrachi acquistano il loro perfetto accento se la sillaba centrale viene abbreviata dalla presenza del punto, che può anche salvare la scelta di un progressus anobatus. I piedi mesomacri invece saranno perfetti se la prima nota sarà sincopata grazie alla presenza di un pausa sul battere. Ecco due esempi:

kircher A
Esempio musicale

kircher B
Esempio musicale

5.4.3 I piedi armonici tetrasillabi

Essi sono sempre divisi in due gruppi secondo la discriminante della penultima sillaba, che può essere breve o lunga. Kircher ha annoverato (MU B 37) nel primo gruppo i seguenti piedi ritmici:proceleusmatico, doppio giambo (diiambus), coriambo, ionico a maiore, peone primo, peone secondo, peone quarto, epitrito terzo.

Fanno invece parte del secondo gruppo: dispondeo, doppio trocheo (dichoreus), antispasto, ionico a minore, peone terzo, epitrito primo, epitrito secondo, epitrito quarto.

Secondo Kircher individuare le differenze che intercorrono fra di essi non aveva importanza in quanto dal punto di vista musicale era sufficiente la distinzione fra i due gruppi presi nel loro insieme (MU B 39): egli ha ribadito che ci si doveva curare esclusivamente della penultima sillaba non legando pedissequamente fra loro quantità sillabica e valore delle note.[152] In questa sezione egli si limita a fornire alcuni precetti: i piedi con la penultima accentata tollerano tutti i tre progressus, e la loro scansione ritmica viene esaltata dalla elisio (abbreviazione) della seconda nota per mezzo della sincope della nota precedente o del punto. Ecco una serie di brevi esempi fornita da Kircher:

Kircher C

Esempio musicale

Kircher D

Esempio musicale

Anche i piedi con la penultima atona possono avere tutti i tre progressus: tuttavia è indispensabile l’abbreviazione della penultima nota, come appare in questi esempi.

5.5 Caput V. De varietate Metrorum

Il metrum è quello che noi chiameremmo “verso”: un insieme di vari piedi, uguali o diversi fra loro, strutturato in modo armonioso. “Metrum sive sensum est oratio certo genere, numero & ordine pedum non sine concentu alligata”(MU B 39); è proprio il concentu, termine che possiamo tradurre con “decorso armonioso” a distinguere il verso dal discorso sciolto.

Fondamentale è la differenza che Kircher ha stabilito fra pes metricus e pes harmonicus: metricus si riferisce alla metrica poetica, mentre harmonicus indica l’interpretazione semplificata e più libera di cui si servono i musicisti. Così come esiste diversità fra pes poeticus e pes harmonicus, ugualmente esiste una grande differenza fra metrum poeticum e metrum harmonicum. Valga come dimostrazione l’esempio esposto in MU B 31; consideriamo i seguenti versi:

Iste Confessor Domini sacratus Pie Confessor deprecare Deum Sanctus Confessor Oratores audit.

Tutti i tre versi hanno lo stesso numero di sillabe: tuttavia solo il primo fra essi è un verso poeticus, in quanto è l’unico a seguire lo schema ritmico corretto (saffico); gli altri due sono invece versi harmonici. In essi non è osservata l’esatta successione di piedi, ma solo il numero delle sillabe e il fatto che la penultima sillaba sia tonica. L’importante, in definitiva, è che in questo caso specifico i versi abbiano undici sillabe e si concludano con una parola parossitona. Quanto a tecnica poetica saranno da scartare ma per il musicista sono da mettere a buon diritto sullo stesso piano del primo, senza alcun detrimento per il risultato finale.

Infinita è la varietà dei metri poetici che nascono dalla inesauribile commistione dei piedi; di fronte all’esigenza di catalogarli e definirli i criteri sono molteplici,[153] ma al compositore che voglia applicare il metodo della musurgia mirifica interessa solo una ben precisa categoria di metri: quelli possiedono uno schema fisso con un numero costante di sillabe “[…] quae certam & immutabilem pedum stationem servant” (MU B 37). Solo i versi che possiedono uno schema fisso sono comodi da musicare, al contrario di quelli che invece ammettono una certa elasticità. La scomodità deriva dal fatto che la musurgia mirifica si basa sull’uso di schemi di note e di tabelle numeriche tarate per sequenze costanti di sillabe: impossibile lavorare con strutture di versi dalla lunghezza variabile. L’esametro dattilico ad esempio è un metrum scomodo e difficile, perché i dattili possono essere sostituiti da uno spondeo, e quindi in un testo composto secondo questo metro il numero di sillabe di ogni verso oscilla da un massimo di diciassette ad un minimo di dodici.

Esaminiamo ora gli esempi forniti da Kircher.

5.6 Caput VI. De Applicatione poetica metricae

In questo capitolo, che conclude la sezione dedicata alla musurgia poetica (MU B 40-45), Kircher ha esaminato i metri harmonici a suo giudizio più utili e di facile impiego, ordinandoli progressivamente secondo il numero di sillabe. Essi sono:

1 Adonium pentasyllabum 5 sillabe
2 Adonium dactylicum hectasyllabum 6 sillabe
3 Iambicum euripidaeum 6 sillabe
4 Iambicum anacreonticum 7 sillabe
5 Iambicum archilochicum 8 sillabe
6 Iambicum archilochicum hypercatalectum 9 sillabe
7 Iambicum alcmanium 10 sillabe
8 Hendecasyllabum falecio 11 sillabe
9 Hendecasyllabum sapphico 11 sillabe
10 Hendecasyllabum alcaico 11 sillabe
11 Asclepiadaeum coriambicum 12 sillabe

Tabella

Ricordiamo che, nomi a parte, quel che conta è il numero di sillabe e il fatta che l’ultima parola sia parossitona o proparossitona.

Per ciascun tipo Kircher ha citato una semplice esemplificazione tratta quasi sempre dal Breviario Romano o dalle Odi di Orazio; egli inoltre ha fornito schemi di notae metrometrae elaborati per rispondere alle esigenze di ogni singolo metrum harmonicum. Come abbiamo mostrato già nella sezione II.1, le notae metrometrae costituiscono la struttura ritmica che nella “Pars III"viene unita agli accordi espressi dai numeri harmonici: la varietà ritmica costituisce uno dei punti di forza della musurgia mirifica.[154] Kircher non ha sfruttato in quella sezione tutti gli schemi di notae metrometrae esposti in queste pagine della musurgia poetica: alcuni sono stati esclusi, di altri egli ha realizzato versioni che tuttavia si discostano pochissimo da queste. A parte pochissimi casi, le differenze si limitano ad un diverso ordine nell’esposizione delle varie sequenze di note o ad una variazione nella scala dei valori temporali: sequenze di semiminime diventano sequenze di minime o viceversa, ad esempio. Tuttavia, per precisione e completezza avremo cura di esaminare nello specifico gli schemi di notae metrometrae forniti da Kircher nella “Pars III”, perché sono quelli che l’operatore della musurgia mirifica materialmente deve utilizzare.

Gli schemi di notae metrometrae preparati per uno specifico verso costituiscono i metra musurgica. Kircher in Mu B 41 spiega che

Sic [musurgicum] omnis generis metra, queis Musurgica metra a poeticis distinguamus, appellabimus. Dum igitur dicimus Adonium Musurgicum (Metrometrum) Glyconicum Musurgicum, Iambicum Musurgicum, & sic de coeteris, notas intelligimus metrometras, accentibus metrorum poeticorum respondentes sive quae carmen ipsum metiantur. Hae enim notae applicatae verbis alicuius metri illud perfecte tum quo ad tempus, tum quo ad accentum mensurabunt.

Sebbene siano pressoché infinite le varianti corrette di ciascun metrum musurgicum,[155] Kircher semplifica la propria esposizione fornendo solo un numero limitato di notae metrometrae: otto o nove per il tempus imperfectum e tre o quattro per il tempus perfectum.

5.6.1 De Carmine Adonio pentasyllabo

Kircher non ha considerato i versi formati da sole quattro sillabe: il primo da esaminare è stato quindi un metro di cinque sillabe che “primam & nescio quam gratam motum proportionem auribus exhibet” (MU B 40). Questo metro è identificato come carmen adonium pentasyllabum,[156] formato da un dattilo e da uno spondeo, con accenti tonici sulla prima e sulla quarta sillaba. Kircher ha suggerito “n¨bibus Ótris”, noi potremmo pensare ad un verso quinario come ad esempio “Tempro la cetra”.

Esaminiamo gli schemi ritmici delle notae metrometrae (si faccia riferimento all’Appendice: tutti gli schemi di notae metrometrae sono stati trascritti): sono caratterizzati da una grande varietà, ma sono riconoscibili alcune caratteristiche strutturali comuni a tutto il gruppo, costituito da nove sequenze per il tempo binario e sette sequenze per i tempi ternari. Tranne che in un caso, gli accenti tonici del verso sono sempre marcati da una nota posta in battere o per lo meno su un tempo forte della battuta. L’eccezione è data da un movimento sincopato. Inoltre le sillabe toniche unitamente alla sillaba finale hanno sempre le note con i valori più lunghi.

Le sequenze per i tempi ternari sono divise in due gruppi: si veda supra la sezione V.1.D per una trattazione dettagliata della questione. Divisione inutile: le notae metrometrae dell’uno hanno semplicemente valori doppi rispetto alle notae dell’altro.

5.6.2 De Metro Hectasyllabo

Sono due i metri di sei sillabe esaminati da Kircher: l’adonio dattilico e il giambico euripideo. Il primo consta di due dattili, ad esempio: “T=llite l¨mina”, con due accenti tonici sulla prima e quarta sillaba; il secondo è composto da tre giambi, come ad esempio: “Óve mÓris stþlla”, con tre accenti tonici sulla prima, terza e quinta sillaba.

A proposito del giambico euripideo sono necessarie alcune considerazioni particolari: l’esposizione di Kircher è quanto meno imprecisa, in quanto confonde apparentemente un ritmo trocaico con un ritmo giambico. Il ritmo giambico consiste nell’alternanza di una sillaba atona e di una tonica (“Aet erne r erum c onditor”): Kircher invece porta come esempio l’inno “Ave maris stella”,[157] la cui struttura metrica è quanto meno ambigua e dovrebbe forse essere definita di tipo trocaico ma non è certo giambica. Senza dubbio questo dipende anche dal fatto che nella metrica degli inni latini “vi sono strette analogie fra i versi giambici e i versi trocaici”:[158] tuttavia sappiamo già che sterile il tentare di dirimere in quest’ambito una questione metrica così intricata. Infatti, analizzando la struttura ritmica degli schemi di notae metrometrae ci si accorge che Kircher fornisce esempi e schemi che sono chiaramente eterogenei rispetto alla struttura metrica così come egli l’ha descritta mentre rispettano con precisione la scansione del testo piano, cioè gli accenti tonici delle parole pronunciate prescindendo dalla lettura poetica,[159] e si assume il valore normativo della pronuncia “normale” del testo.[160] Non torneremo ulteriormente su constatazioni di questo tipo, ripetibili per ogni esempio fornito dal nostro autore: la questione è ormai chiara.

Osserviamo in Appendice gli schemi di notae metrometrae: per il giambico nove sequenze per il tempo binario e sette sequenze per i tempi ternari; per l’adonio dattilico abbiamo otto sequenze per il tempo binario e sei sequenze per i tempi ternari.

La variabile che determina la struttura delle notae metrometrae consiste nella distribuzione degli accenti tonici: nel verso giambico euripideo si alterna una posizione forte e una debole (esempio: ): i tre accenti sulla prima, terza e quinta sillaba sono sottolineati in ogni schema metrometricus dalla corrispondenza con il battere o il terzo movimento della battuta, cioè con un tempo forte. Le sillabe conclusive hanno valore in proporzione più lunghi. Ugualmente nello schema dell’adonius dactylicus le sillabe accentate del verso (la prima e la quarta) si trovano sempre sui tempi forti della battuta; va notata una maggiore varietà nella distribuzione della durate, che negli schemi precedenti era eccessivamente monotona e meccanica: il dattilo, accanto al classico schema di minima-semiminima-semiminima, viene articolato anche con successioni di semiminima-semiminima-minima e con semiminima puntata-croma-minima.

Per entrambi i versi i due gruppi di sequenze per i tempi ternari sono perfettamente omologhi, come nel caso precedente.

Kircher ha affermato che le notae metrometrae suesposte sono state ricavate da quelle relative al carmen adonium dividendo la penultima nota in due note di valore minore. Gli esempi forniti suffragano solo in parte tale affermazione.

5.6.3 De Iambico Anacreontico

Si tratta di un verso di sette sillabe: secondo Kircher esso consta di tre giambi più una sillaba. Egli ne ha presentato però due versioni: una regolare di sette sillabe (“O tþr quatþrque fþlix”) e una ipermetra di otto sillabe (“Habet òmnis hòc volùptas”), nella quale il primo giambo è sostituito da un anapesto.[161] Nella lettura prosodica gli accenti si trovano sulla seconda, quarta e sesta sillaba nella versione regolare di sette sillabe e sulla terza, quinta e settima sillaba della versione octosyllaba: entrambe terminano con una parola parossitona.

Nella “Pars III” Kircher si è interessato solo della versione regolare di sette sillabe. Ci sono nove sequenze di notae metrometrae per il tempo binario e cinque per i tempi ternari: si veda in Appendice. La loro struttura corrisponde all’andamento prosodico; nonostante la prima sillaba sia atona solo due schemi su quattordici iniziano in levare, mentre è generalizzato l’uso della sincope per marcare la seconda sillaba (accentata) e la terza (atona). Le sequeze per i tempi ternari sono nuovamente omologhe fra loro.

Il quadro per la variante anapestica di otto sillabe fornito nel corso della “Pars II” è ampiamente incompleto ed è stato ricavato suddividendo in due note di valore minore la prima nota degli schemi ritmici forniti per la variante giambica. Si tratta di un procedimento utilizzato da Kircher anche altrove.

5.6.4 De Iambico Archilochico

Questo verso di otto sillabe è un “cantatissimum carminis genus” (MU B 43) molto usato negli inni del Breviario Romano.[162] Basti ricordare i pochi inni citati da Kircher: “Vexilla regis prodeunt”, “Veni Creator Spiritus”, “Sat funeri sat lachrymis”, “Sat est datum doloribus”.[163] Trattandosi di un metro usitatissimo Kircher ha omesso qualsiasi tipo di indicazione esplicativa limitandosi a fornire la consueta serie di notae metrometrae. Si veda in Appendice.

Lo schema della distribuzione degli accenti è abbastanza regolare: sono accentate alternativamente la prima o la seconda sillaba, la quarta e sempre la sesta: l’ultima parola è discriminante, e deve sempre essere proparossitona ovvero sdrucciola. Le note in battere o sulla parte forte della battuta sono sempre la prima, la quarta e la sesta; due schemi presentano un ritmo sincopato e due iniziano in levare: sono i migliori per quegli inni che hanno il primo accento tonico non sulla prima ma sulla seconda sillaba.

Ci sono otto schemi di notae metrometrae per il tempo binario e cinque per i due tipi di tempi ternari; questi ultimi sono come sempre del tutto simili.

5.6.5 De Metro Enneasyllabo

Sono due i metri di nove sillabe indicati da Kircher: uno è un giambico archilochico definito dimetro ipercatalettico da Kircher ed esemplificato da un verso di Orazio, “Sylvae laborantes geluque”:[164] le sillabe toniche sono la prima, la quinta e l’ottava. L’altro è un giambico alcaico,[165] formato da quattro giambi più una sillaba: “Amant venena parricidae”; le sillabe toniche sono la prima, la quarta e l’ottava. Entrambi terminano con una parola parossitona: nonostante il loro ritmo prosodico non sia perfettamente lo stesso, sono soddisfatti dalle medesime notae metrometrae, che nella fattispecie mostrano una relativa maggiore varietà di scansioni ritmiche; si veda la trascrizione in Appendice. Le sillabe su tempo forte sono quelle su cui cade quasi sempre l’accento tonico: esse godono talvolta di una posizione in sincope che, ancorchè attenuarle, le esalta maggiormente. Abbiamo sette sequenze di notae metrometrae per il tempo binario e cinque per i tempi ternari, come sempre divise in due gruppi pressoché omologhi.

5.6.6 De metro decasyllabo

Costituito da dieci sillabe è il verso giambico alcmanio trimetro catalettico (“Màgne Creàtor Rèrum òmnium”): si tratta tuttavia secondo Kircher di un metro troppo mobile, che ammette con troppa frequenza la trasformazione di una sillaba lunga in due brevi e non possiede quindi uno stabile numero di sillabe: gli scarni esempi forniti da Kircher non possiedono neppure una regolare distribuzione degli accenti tonici. Il musicista viene invitato a non utilizzarlo, o almeno ad assicurarsi che per una fortunata coincidenza il testo da musicare abbia versi con un numero di sillabe sempre identico.

Nonostante queste premesse, nella “Pars III” Kircher ha dedicato a questo metro un pinax: abbiamo otto schemi di notae metrometrae per il tempo binario e quattro per i tempi ternari. Non si capisce molto circa la scansione prosodica di questo verso, perché contrariamente ai casi precedenti non è possibile riconoscere un’assegnazione costante della posizione sul tempo forte. Il metrum decasyllabum rimane un oggetto misterioso.

5.6.7 De metro hendecasyllabo

Nella propria trattazione della “Musurgia Poetica” Kircher ha dedicato ampio spazio all’endecasillabo, soprattutto perché “Imo Itali vix alio magis frequenti in poesi suo carminis genere utuntur” (MU B 44); questo dipende dal fatto che “nullum magis harmonicis modulis aptus sit” (ibidem).

Esiste una grande varietà di endecasillabi e Kircher ha individuato tre tipologie: il falecio, il saffico e l’alcaico. Già nella metrica classica l’endecasillabo, nelle tre varietà esaminate da Kircher, era un verso dal numero fisso di sillabe che non ammetteva la soluzione di una lunga in due brevi o la contrazione di due brevi in una lunga.

A proposito del falecio Kircher si è mostrato estremamente sbrigativo, forse per evitare di entrare nel merito della definizione metrica di questo verso, che è sempre stata molto discussa.[166] Gli schemi di notae metrometrae forniti nel corso della musurgia poetica sono però identici a quelli dell’endecasillabo saffico: solo l’ordine è diverso. Non è chiara la motivazione che ha spinto Kircher ad esporre due esempi separati, tanto più che la distribuzione degli accenti tonici è la stessa. Nella “Pars III” le notae metrometrae per questi due endecasillabi sono invece leggermente differenti fra loro.

Kircher ha dedicato una maggiore cura nell’esaminare e descrivere l’endecasillabo saffico che nella metrica classica costituiva la base della strofe saffica, la cui forma (tre endecasillabi e un adonio)[167] appare evidente anche nell’inno di Paolo Diacono (morto nel 798), certamente più noto per l’uso che ne fece Guido d’Arezzo:

Ut queant laxis resonare fibris
Mira gestorum famuli tuorum
Solve polluti labij reatum
Sancte Ioannes

Come già fatto per i versi precedenti, una volta giunti a considerare le notae metrometrae dimentichiamo subito le osservazioni circa la corretta lettura metrica di questo verso,[168] per osservare invece che lo schema ritmico è strutturato al solito sulla scansione regolare della lettura in prosa. Le sillabe toniche sono la prima, la quarta, la sesta, l’ottava e la decima: il verso termina sempre con un parola piana. Il fulcro attorno al quale ruota il ritmo della sequenza è la sesta sillaba del verso:[169] per quanto la scansione ritmica delle prime cinque note possa variare essa è sempre in battere o comunque su un movimento forte.

L’endecasillabo alcaico secondo Kircher si distaccava dalla tipologia dei due precedenti, ed egli ha raccomandato di non utilizzare con questo verso le tabelle del falecio e del saffico, perché non erano adatte: tale endecasillabo è concluso da una parola proparossitona. Kircher ha citato (MU B 45) un verso di Orazio: “Vides ut alta stet nive candidum”:[170] questo verso è formato da due membri di cinque e sei sillabe,[171] ed egli lo interpreta come se fosse composto da un verso adonio (cinque sillabe, accenti sulla prima e sulla quarta) e da un adonio dattilico (sei sillabe, accenti sulla prima e sulla quarta); questa disposizione riflette la distribuzione degli accenti tonici (“Vídes ut álta stét nive cándidum”).[172] Le scansioni ritmiche sono state ottenute unendo lo schema di cinque notae metrometrae del verso adonium pentasyllabum con lo schema di sei note dell’adonium dactylicum hectasyllabum. A conferma della posizione debole della penultima sillaba si nota che nello schema di notae metrometrae il penultimo valore non è mai in battere né su un tempo forte.

5.6.8 De metro dodecasyllabo

Il verso asclepiadeum choriambicum è composto da dodici sillabe. Kircher ha citato (MU B 45) come esempio un verso di Orazio: “Maecenas atavis edite regibus”.[173] Nell’esposizione di Kircher gli accenti tonici (“Mécenas átavis édite régibus”) sono sulla prima, quarta, settima e decima sillaba: come sempre nelle sequenze di notae metrometrae a queste sillabe corrispondono note su tempi forti. A dispetto della diversità dagli endecasillabi precedenti, per ottenere tali schemi ritmici è sufficiente dividere in due note di valore più piccolo la quarta nota metrometra dello schema fornito per l’endecasillabo alcaico. Si veda in Appendice.

Giunto a questo punto, Kircher ha ritenuto che la materia esposta fosse più che bastevole per musicare qualsiasi tipo di testo. Nel caso che l’operatore della musurgia mirifica volesse manipolare versi con un’estensione superiore alle dodici sillabe, una volta apprese le nozioni relative ai precedenti schemi ritmici, gli sarebbe sufficiente procedere semplicemente ad un lavoro di assemblaggio, unendo fra loro strutture elaborate per versi più piccoli le quali, unite, potevano formare un insieme soddisfacente: “Hac praxi coniungendo metra metris semper diversa & diversa metrorum nascentur genera” (MU B 45).[174]

5.7 Conclusioni

Nel suo esame del testo sul piano del significante Kircher non ha affrontato la questione della valutazione della natura “affettiva” dei vari piedi ritmici. Egli ha vantato (MU B 28) la potenza psicagogica del ritmo, tuttavia nel contesto della musurgia poetica hanno trovato posto solo per vaghissimi accenni quelle argomentazioni che furono seriamente considerate, per esempio da Monteverdi,[175] quando si voglia tralasciare la trattazione fatta da un erudito retore come Emanuele Tesauro, che espose dettagliatamente le potenzialità del ritmo della parola nel suo magnum opus che venne pubblicato pochi anni dopo la Musurgia Universalis.[176]

In realtà, anche se Kircher ha sostenuto che il numerus del ritmo determina gli effetti della musica (MU A 552), nel contesto della musurgia mirifica tali tematiche non potevano interessarlo: il materiale esaminato nelle pagine precedenti dovrebbe aver dimostrato che gli accenni di Kircher alla potenza del ritmo (MU B 27-30, passim) sono sovrastrutturali alla sostanza della sezione. Infatti, se è vero che il fine della musica è “affectus movere” è anche vero che il fine della musurgia mirifica consiste nel permettere all’ _amusus_la composizione musicale attraverso l’uso di tecniche che assemblano accordi, le quali prescindono dall’essenziale per concentrarsi sull’accidentale,[177] laddove con essenziale in musica si intende la mozione degli affetti e con accidentale il cercare di variare il materiale musicale dei musarithmi per mezzo di tecniche di permutazione.

Se il fine ultimo della musurgia mirifica è il consentire di musicare un testo rispettandone la regolare pronuncia prosodica, ecco che la definizione dell’ethos di ogni piede è un problema che più non ci tocca. Si può invece veramente lamentare la mancanza di una trattazione più approfondita della relazione fra schema ritmico e andamento melodico.

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La metrica qualitativa distingue fra sillabe lunghe e brevi; l’elemento costitutivo del verso è il piede, composto almeno da due sillabe: all’interno del piede le sillabe lunghe e brevi indicano rispettivamente l’arsi e la tesi, cioè la parte forte e la parte debole. Non esiste uniformità nella definizione di questi due termini: i Greci indicavano con arsi il tempo debole, mentre i Latini (e con essi Kircher) assegnavano all’arsi la parte forte del verso. Per tutte le questioni relative a metrica e prosodia abbiamo fatto riferimento a: Mario LENCHANTIN de GUBERNATIS, Manuale di prosodia e metrica latina, Milano-Messina, Principato, 1943, pp. 116; Mario RAMOUS, La metrica, Milano, Garzanti, 1980.

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Kircher, solitamente non molto prodigo al riguardo, ha indicato le proprie fonti, accennando a Cicerone, Quintiliano, Gellio e Marziano Capella, che definisce l’accento “musicae seminarium”. Marcus Tullius CICERO, De oratore; Marcus Fabius QUINTILIANUS, Institutio Oratoria; Aulus GELLIUS, Noctes Atticae; Martianus Minneus Felix CAPELLA, De nuptiis Mercurii et Philologiae libri IX.

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Un approccio alla complessa questione circa il rapporto fra metro poetico e ritmo musicale e più in generale fra musica e testo è fornito da Daniel P. WALKER, “Musical Humanism in the 16th and Early 17th Centuries”, The Music Rewiew, II (1941), n. 1, pp. 1-13, n.2, pp. 111-121, n. 3, pp. 220-227, n. 4, pp. 288-308, III (1942), n. 1, pp. 55-71.

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WALKER, “Musical Humanism”, op. cit., p. 303.

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Kircher si riferisce all’esposizione della teoria ritmica di Mersenne che si trova nella Harmonie Universelle op. cit., in particolare nel “Traitez des Consonances, des Dissonances, des Genres, des Modes, & de la Composition”, “IV Partie, De la Rythmique ou des mouuements mesurez, de la Prosodie, & de la Metrique”, pp. 374-440.

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“Il ritmo è l’ordine del movimento”, PLATONE, Leggi, II, IX, 664e.

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Athanasius Kircher, Magnes, sive de Arte Magnetica libri tres, Romae, Ex Typographia Ludouici Grignani, 1641.

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Kircher ha parafrasato Quintiliano, Istitutio Oratoria, IX, IV, 130-132: “..quis dubitat […] gravibus, sublimibus, ornatis longas magis syllabas convenire? […] magis gaudere brevibus, argumenta, partitiones, iocos et quidquid est sermoni magis simile.” Tuttavia Quintiliano in questo passo non si riferiva all’affectus interno dell’animo, ma all’argomento esposto dal discorso: Kircher ha traslato il valore di tale affermazione.

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QUINTILIANO, Institutio Oratoria, IX, 4, 47.

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In questo caso Kircher ha considerato il termine “rhythmus” secondo il valore assegnatogli da QUINTILIANO, Istitutio Oratoria, IX, IV, 45, che distingue fra numerus (ritmo, misura del tempo) e metrum (specificatamente il metro poetico).

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Venerabilis BEDA, De arte metrica, in Patrologiae Cursus Completus, series Latina, accurante J.P. Migne, Paris, Garnier, 1854, Tomus XC, p. 184.

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John JULIAN, (editor), Dictionary of Hymnology, London, J. Murray, 1907 (2° ed. conforme alla 1°: Grand Rapids, Michigan, Kregel Publications, 1985, 2 voll., 1768 p.). Vedi anche Michele PELLEGRINO, Innologia cristiana latina, Torino, Giappichelli, 1964.

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Mersenne aveva profondi legami con essi. Cfr. WALKER, “Musical Humanism”, op. cit., p. 16.

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Generalmente l’unità di misura non è il numero di sillabe (che varia), ma la quantità: lo spondeo, che è un piede di quattro unità perchè composto da due sillabe lunghe, non dovrebbe trovarsi insieme al pirrichio che è un piede di due unità, essendo composto da due brevi.

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Kircher non ha specificato tuttavia quali. A proposito della differenza fra tempus perfectum e imperfectum cfr. infra il capitolo sul Requisitum III De valore notarum et mensura temporis.

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Marin Mersenne, ]Harmonie Universelle, op. cit., “Liure des Chants”, p. 408; Kircher ha invece indicato pagina 405. Il nostro autore inoltre non tiene assolutamente conto dell’annotazione di Mersenne secondo la quale i paradigmi da lui esposti sono suscettibili di diminutions, corroborata anche dall’esempio fornito da quest’ultimo con la messa in musica (p. 395) di un’ode di Orazio (“Odi profanum vulgus”, Odi, III, 1).

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Kircher ha mosso ulteriori rimproveri a Mersenne in merito alla struttura minima/minima/semiminima/semiminima con cui ha realizzato il piede ionico a minore.

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Li si può infatti definire in base al numero di piedi che li compongono, oppure in base al numero di sillabe, o ancora distinguendo se sono composti da piedi dello stesso genere o di genere diverso.

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Ulf Scharlau, ]Athanasius Kircher (1601-1680) als Musikschriftsteller, op. cit., pp. 352-353.

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Per l’adonium musurgicum sarebbero almeno 256 (MU B 41). Tuttavia Kircher non ha esposto i principi di formazione di questi schemi di notae metrometrae.

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Si tratta di un verso della metrica classica sia greca che latina; il suo nome viene fatto risalire ai ritornelli dei canti in morte di Adone, che avevano questa struttura. Cfr. Mario RAMOUS, La metrica, op. cit.

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Si tratta di un inno anonimo, solitamente attribuito erroneamente a Venanzio Fortunato (morto verso il 600 d.C.).

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Michele PELLEGRINO, Innologia cristiana latina, op. cit., pp. 48-49. L’affinità è dovuta al fatto che “il trocaico þ un giambo senza anacrusi”.

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Come si sa, nella poesia quantitativa latina e greca la lettura metrica non rispetta l’accentuazione “normale” delle parole, ma sottolinea i vari ictus del metro.

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Vedi anche a tale proposito WALKER, “Musical Humanism”, op. cit., pp. 303-304, in cui viene esposto un analogo punto di vista a proposito dei teorici musicali di stampo umanistico.

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I metri anacreontici sono costituiti dal gruppo dei versi tipici della lirica di Anacreonte (VI secolo a.C.).

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La strofe archilochea, che prende il nome dal poeta greco Archiloco di Paro (secolo VII a.C.) può assumere diverse strutture; all’interno di una di esse viene utilizzato il dimetro giambico che Kircher definisce archilochicum. Si tratta di un verso veramente sfruttatissimo nell’innografia cristiana latina: gli inni di Sant’Ambrogio sono tutti in dimetri giambici, costruti in modo che l’accento tonico delle parole coincidesse con l’accento lungo. Cfr. Mario RIGHETTI, Storia liturgica, Milano, Ancora, 1955, volume II, “Il Breviario”, p. 586. A proposito del Breviario Romano, si ricordi che circa negli anni in cui Kircher preparava la Musurgia Universalis (per la precisione fra il 1623 ed il 1644) veniva approntata la versione definitiva del Breviario ad opera di Strada, Gallucci e Petrucci. Cfr. John JULIAN, op. cit., pp. 646-647; e L. EISENHOFER, J. LECHNER, Liturgik des Römischen Ritus, Freiburg im Brisgau, Herder & Co., 1953 (tr. it. di Igino Ubaldo I.M.C., Liturgia romana, Torino, Marietti, 1960, p. 358).

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Alcuni cenni sugli autori di questi inni: “Vexilla regis” è di Venanzio Fortunato (morto verso il 600); “Veni Creator” è di Rabano Mauro (arcivescovo di Mainz, morto nell'856), “Sat funeri” e “Sat est datum” non sono citati da John JULIAN, op. cit., nè nel Repertorium Hymnologicum, Louvain, Polleunis & Centerick, 1897, di Ulysse CHEVALIER.

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ORAZIO, Odi, I, 9, 3. Si tratta in realtà di un enneasillabo alcaico, che entra come terzo verso nella struttura della strofe alcaica. Il verso è una pentapodia giambica catalettica.

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In questo caso la struttura del verso corrisponde perfettamente alla forma classica del verso: nella strofe alcaica il terzo verso era un enneasillabo. Deve il suo nome al poeta greco Alceo.

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Il verso prende il suo nome da Faleco, poeta alessandrino del III secolo a.C. che probabilmente ne codificò il ritmo; la sua struttura è stata variamente interpretata, anche a causa di molte sillabe ancipiti (che possono essere tanto brevi quanto lunghe). Fu molto utilizzato, sia nell’ambito greco sia in quello latino.

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Questo verso viene definito solitamente saffico minore nella metrica classica: è costituito da un dimetro trocaico e un aristofanio. La strofe (detta anch’essa minore) deve il suo nome alla poetessa Saffo; lo usarono in latino Catullo e Orazio.

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Valga come esempio in italiano di tale ritmo il verso “Ói celþsti pÓri mi sþmbra quþgli” dalle Odi barbare di Giosuè Carducci (citato da Mario RAMOUS, La metrica, op. cit., ad vocem).

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La struttura di questi endecasillabi può essere paragonata a quella a minore della metrica italiana: il verso è diviso in due “parti” da una cesura; il primo membro è un quinario.

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ORAZIO, Odi, I, 9, 1.

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In un contesto di stretta osservanza metrica, la struttura di questo verso è costituita da un reziano ed un scazonte (cinque e sei sillabe rispettivamente). L’endecasillabo alcaico è parte costituente della strofe alcaica, formata da due endecasillabi, un enneasillabo ed un decasillabo. Il verso deve il suo nome al poeta Alceo e fu utilizzato da Orazio.

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Si può capire come la ritmica poetica di Kircher differisca dalla metrica classica considerando che la lettura corretta di questo verso sarebbe nella fattispecie: “Vidès ut àlta stèt nive càndidum”.

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ORAZIO, Odi, I, 1, 1. Il verso asclepiadeo deve il suo nome ad Asclepide di Samo (secoli IV-III a.C.) che scrisse interi carmi in questo metro; Orazio ne codificò la forma definitiva. Il verso citato è un asclepiadeo minore, costituito da uno spondeo, due coriambi e un giambo; dovrebbe essere letto “Màecenàs atavìs èdite règibùs”.

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Analogo suggerimento verrà esposto nella sezione terza dell’ottavo libro, questa volta applicato anche ai pinaces dei musarithmi. Si veda anche la sezione relativa al primo e secondo pinax in V.2.C.

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Cfr. Claudio MONTEVERDI, prefazione dei Madrigali guerrieri et amorosi - Libro Ottavo, Venezia, Alessandro Vincenti, 1638.

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Emanuele TESAURO, Cannocchiale aristotelico, Venezia, Baglioni, 1655 (quinta edizione definitiva: Torino, Zavatta, 1670), p. 133 e sgg.

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Uso questi termini derivati dalla logica aristotelica sulla falsariga di Bruno Pinchard, , in AA.VV., Enciclopedismo in Roma barocca, op.cit. pp. 87-100.

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