6. Syntagma 1

6.1 Requisita totius artis

Le sezioni preliminari sono terminate ed è ormai tempo di affrontare in modo graduale e articolato, come richiede la materia, il nucleo centrale della musurgia mirifica. Scopriremo il funzionamento del metodo di composizione meccanico; non potrà essere una scoperta completa e rapida nel medesimo tempo poiché mi sembra più saggio e utile procedere passo dopo passo con attenzione ai dettagli: nei successivi capitoli di questo studio si cercherà di seguire per quanto possibile la scansione imposta da Kircher, avendo cura di richiamare le fila di quello che l’autore ha sparso qua e là in un’esposizione non sempre lineare e progressiva, anzi spesso rapsodica ed ellittica.

All’esordio della “Pars III”, dopo una breve ulteriore introduzione di carattere generale, Kircher ha esposto un rapido excursus dei tre syntagma in cui è articolata la sezione; hanno trovato qui posto un elenco e una sommaria descrizione delle tabelle numeriche (pinax) relative a ciascun syntagma.

Ecco giunto quindi il momento dei “Requisita”, il primo approccio con la vera sostanza del metodo compositivo kircheriano. Si tratta di indicazioni di carattere non tanto teorico quanto pratico, che nelle intenzioni dell’autore avrebbero dovuto essere utili soprattutto per chi, completamente digiuno di musica, non conoscesse la semiografia musicale e neppure i rudimenti della teoria della divisione ritmica e del sistema di toni. Questo capitolo quindi ci permette alcune preziose scoperte circa il retroterra tecnico-musicale della musurgia mirifica. Queste pagine mostrano nozioni che Kircher in altre sezioni ha passato sotto silenzio assumendole implicitamente come scontate e condivise dal popolo dei lettori, oppure ha esposto in un modo che è in tutto o in parte eterogeneo rispetto alle pagine ora in esame: la prevalenza della finalità pratica all’interno del metodo compositivo della musurgia mirifica ha probabilmente fatto sì che Kircher si spingesse su posizioni più moderne ormai in uso presso i musicisti ma che egli, arroccato su posizioni più conservatrici, ha ignorato in altre sezioni della Musurgia Universalis dal carattere eminentemente teorico.

6.1.1 Palimpsestus Phonotacticus

Requisito primario di ogni branca del sapere è il poter mettere per iscritto i risultati delle proprie ricerche, o quanto meno esporre graficamente le proprie dimostrazioni; non solo la geometria ma anche la musica sente vivamente quest’esigenza. Il “Palimpsestus Phonotacticus” (MU B 48) è lo strumento che il compositore sfrutta per questo fine: si tratta di una elementare lavagna per appunti musicali realizzata con una pelle d’asino che permette di scrivere e cancellare con facilità. Devono essere tracciati in modo indelebile quattro pentagrammi mentre le chiavi musicali andranno segnate di volta in volta, variando a seconda della tessitura delle voci impegnate. Le chiavi utilizzate da Kircher sono in tutto otto (si veda la trascrizione in Appendice XVIII) e vengono indicate con tre segni diversi “quae principia scalae appellant, suntque F, C, & G” (MU B 49). La chiave di Fa può trovarsi in tre posizioni: sulla terza linea (chiave di baritono), sulla quarta linea (chiave di basso) oppure sulla quinta linea. Nel bassus questa chiave può essere utilizzata in tutte e tre le posizioni, mentre per il tenor viene ammessa solo sulla terza linea. La chiave di Do viene utilizzata per il cantus (1°, 2° e 3° linea), per l’altus (2°, 3° e 4° linea) e per il tenor (3° e 4° linea). Il cantus, se è molto acuto, può anche essere scritto utilizzando la chiave di Sol.

Due possono essere le armature di chiave: la signatio dura, senza alcuna alterazione, e la signatio mollis, con il Si bemolle in chiave: altrove (MU A 231) Kircher afferma che la differenza fra mollis e durus nasce unicamente dal fatto che i Toni con signatio mollis sono trasposizioni alla quarta superiore di un tonus con signatio dura.[178] Egli espone otto diversi modi (vedi trascrizione in Appendice XVIII) in cui la signatio e il sistema di chiavi possono essere combinati, modi che al di là della alternanza durus/mollis, differiscono solo per il posizionamento delle chiavi dettato da esigenze traspositive.

Trattandosi di una sezione per principianti assoluti, Kircher accompagna ciascun pentagramma con l’indicazione della collocazione di ciascuna nota, linea per linea e spazio per spazio, in modo che non debbano poi sussistere problemi nella fase di trascrizione dei musarithmi, quando si passerà finalmente dalle cifre alle note.

6.1.2 Mensa Tonographica

Con questo termine Kircher ha indicato una tavola che riassume le “scale” che è possibile utilizzare nella musurgia mirifica: i sistemi di scala sono dodici, descritti secondo la cifratura dei numeri harmonici, che assegna la cifra 1 (oppure 8, naturalmente) alla prima nota della scala, 2 alla seconda e così via. In MU B 50, infatti, Kircher spiega che la la mensa tonographica

nihil aliud est, quam 12 Tonorum iuxta 7 diapason species in columnis unicuique tono proprijs, secundum numeros suos harmonicos repraesentatio.

La cornice di insieme di tutta l’esposizione è tradizionale e ciascun tono è designato con il nome dell’antica terminologia, anche se con alcune discrepanze. Appare chiaro che in ogni caso anche per lo stesso Kircher l’uso di tali nomi aveva un sapore di arcaismo, di sopravvivenza oltre i limiti fisiologici della storia. Per ognuno di essi Kircher ha annotato anche una stringata descrizione “affettiva”, come precisa in MU B 51:

Veterum appellationes unicuique apposuimus, una cum natura uniuscuiusque, ut pro ratione thematis quod harmonia desideras, in ipsis tonis reperias affectus correspondentes.

Dobbiamo tuttavia ricordare che a proposito degli effetti della musica Kircher oscillava fra scetticismo, dettato dal suo appartenere ad un ordine religioso (i soli miracoli sono quelli di Cristo, MU A 551) e la meravigliata credulità.[179]

Nella “Mensa Tonographica”, in caso di note eventualmente alterate, la cifra corrispondente reca il bemolle oppure il diesis, quest’ultimo indicato da Kircher con due X sovrapposte secondo l’uso dell’epoca: nelle trascrizioni ho utilizzato per entrambi la grafia moderna.

Purtroppo la “Mensa Tonographica” riserva alcune complicazioni dal carattere non puramente teorico la cui soluzione è però prioritaria. Se si considerano infatti solo con un minimo di attenzione le colonne di cifre, si viene subito assaliti da grossi dubbi circa la loro esattezza e attendibilità, come si può vedere consultando la trascrizione in Appendice XIX. In primo luogo le “scale” proposte dovrebbero essere dodici ma sono in realtà tredici: il Dorius compare infatti non una ma due volte, come primo tono impostato sul Re (signatio dura) e come ottavo tono impostato sul Do (stessa signatio); di conseguenza il tono ottavo ha due versioni, una come Hypomixolydius con signatio mollis (impostato anch’esso sul Do) e una appunto come Dorius, con la stessa estensione dell’Hypomixolydius ma con signatio dura, quindi col Si naturale. La presenza di questi palesi errori è un problema che va risolto prima di avviare un qualsiasi tentativo di serio esame dei dodici toni kircheriani, che tra l’altro vengono esposti estensivamente ed esplicitamente grado per grado solo in queste pagine dei “Requisita”. Fortunatamente ci viene in soccorso un discepolo di Kircher molto più diligente e preciso: il già nominato Caspar Schott, che spesso nelle proprie opere ha emendato e chiosato molte pagine errate, lacunose o farraginose del suo tanto più illustre e più confusionario maestro. Il secondo tomo, “Magia Acustica”, della sua Magia Universalis naturae et artis,[180] dipende in larghissima misura da Kircher: qui Schott ci fornisce una versione corretta della “Mensa Tonographica”, [181] oltre ad un’esposizione concisa ma chiara del metodo di composizione meccanica. La duplicità del Dorius viene risolta: sopravvive solo più un ottavo tono; viene anche corretto da Si bemolle a Si naturale il quinto grado del tono quarto Hypophrigius. Giunti ad una versione corretta della “Mensa Tonographica” (si trovano in Appendice XX e XXI una trascrizione in cifre e una in notazione) è possibile ora una lettura interpretativa di tale sistema di scale.

Si può affermare che Kircher nella “Mensa Tonographica”, pur mantenendo l’antica terminologia e, come sostiene non a torto Scharlau, [182] dando l’impressione di non essere particolarmente consapevole del proprio operato, si è spinto ormai sulla strada verso le moderne tonalità: il suo sistema di scale mostra una decisa tendenza alla bipolarità fra scale maggiori e scale minori armoniche e si differenzia da quanto egli stesso ha esposto nelle sezioni teoriche del terzo e del quinto libro, ancora legate alla modalità. Nel capitolo “De Modernis Modis” (MU A 154-158) Kircher aveva infatti recuperato esattamente l’ordine adottato da Glareano nel Dodecachordon [183] per allargare a dodici il numero dei modi ecclesiastici, sei autentici e sei plagali:

Re Mi Fa Sol La Do
La Sib Do Re Mi Sol

Nella “Mensa Tonographica” egli si è allontanato molto da quella precedente esposizione: in primo luogo le scale sono ordinate in maniera differente, in quanto Kircher ha rifiutato di prendere un partito piuttosto che un altro in merito alla disputa (“Tanta est de tonorum numero & qualitate inter Authores dissensio, ut cui subscribas vix dispicere possis”, MU A 228, vedi anche MU B 51) e adotta un suo personale sistema, che avrebbe dovuto consentire all’utente della musurgia mirifica di comprendere meglio la funzione della cifratura con i numeri harmonici e le differenze fra le singole scale. Infatti egli afferma: “Ordinem tonorum non servavimus, ut ordo numerorum melius pateret” (MU B 51); precisa altrove Schott: “Ordinem naturalem tonorum non servavit, ut ordo numerorum, sicut & differentia intervallorum melius pateret”.[184] L' ordo numerorum che si dovrebbe comprendere con maggior facilità deriva probabilmente dalla particolare disposizione nella tavola: da sinistra verso destra per semitono cresente, almeno sino alla settima colonna. Infatti nella prima colonna la cifra 1 corrisponde al Fa, nella seconda colonna al Sol, e così via. Comunque, anche se questa fosse la giusta interpretazione, non si capisce perché Kircher abbia poi variato lo schema per le ultime sei colonne. In secondo luogo, cosa ben più importante, le scale presentano alcuni gradi alterati e la loro natura “modale” ne è quindi profondamente modificata nella direzione della moderna tonalità. Ecco un elenco dei toni esposti nella mensa tonographica con le informazioni in merito alla signatio, alla nota finale e con l’annotazione circa l’interpretazione in termini moderni della struttura, considerando le alterazioni presenti:

1 _Dorius_ _durus_ Re minore armonica
2 _Hypodorius_ _mollis_ Sol minore armonica
3 _Phrygius_ _durus_ La minore armonica
4 _Hypophrygius_ _durus_ Mi * * *
5 _Lydius_ _mollis_ Sib * * *
6 _Hypolydius_ _mollis_ Fa maggiore
7 _Mixolydius_ _durus_ Sol maggiore
8 _Hypomixolydius_ _mollis_ Do * * *
9 _Ionius_ _mollis_ Re minore armonica
10 _Hypoionius_ _durus_ La minore naturale
11 _Iastius_ _durus_ Do maggiore
12 _Hypoiastius_ _mollis_ Fa maggiore

Troviamo quindi ben quattro scale minori armoniche e altrettante scale maggiori; il tono decimo Hypoionius rimane allo stato di scala minore naturale, mentre per tre scale non è possibile dare una definizione in senso moderno. Non credo che sia scorretto valutare le imprecisioni di queste scale utilizzando i parametri del sistema tonale: la balistica delle altre nove scale conferma la validità di questo orizzonte di strutture musicali. Invece deve senz’altro essere scartata l’interpretazione fornita da Scharlau.[185] Egli infatti afferma che nella “Mensa Tonographica” si trovano solo tonalità maggiori o minori armoniche; per di più egli sostiene che ogni tono mollis è la trasposizione alla quarta inferiore di un tono durus. I toni molles sono realmente toni di trasposizione, ma non possono essere ricondotti tutti ai toni duri. Scharlau sostiene ad esempio che il tono VIII mollis che parte dal Do sia in realtà (una volta trasportato una quarta sopra) un Fa maggiore: basta esaminare la successione di toni e semitoni per rendersi conto che si tratta di un’affermazione erronea (manca la sensibile), derivante forse dal fatto che Scharlau si basa soprattutto sulla traduzione tedesca di Andreas Hirsch. Trasposizione o meno, le tre scale in questione non posseggono una regolare struttura di toni e semitoni. L’Hypomixolidius può essere avvicinato (in via del tutto teorica) alla scala misolidia nel sistema di Glareano, ma l’Hypophrygius e il Lydius non corrispondono ad alcun tipo di scala: l’Hypomixolidius è una scala di Do maggiore con signatura mollis, cioè con il Si bemolle; l’Hypophrygius è un ibrido fra Mi minore e maggiore e il Lydius può essere visto come una scala di Si bemolle maggiore con il quarto grado abbassato di un semitono. Lo stesso Kircher in alcuni passi della musurgia mirifica ha esaminato il problema del IV e V tono, informando il principiante che non tutti i toni si sarebbero piegati ad un uso indiscriminato senza che si rendessero necessari accorgimenti particolari. Egli ha infatti precisato che i due toni citati erano per l’appunto difficili perché lo schema presentato nella “Mensa Tonographica” era caratterizzato dalla presenza di intervalli illiciti (“IV & V raro in usu sunt, & paucis tantum Musarithmis accomodantur, ob sequentem […] illicitorum intervallorum occursum”, MU B 70), che dovevano essere preventivamente corretti servendosi di alterazioni cromatiche.

Certo non si capisce per quale motivo Kircher abbia fornito uno schema di scala che deve essere modificato prima di poter essere usato. Le sue prescrizioni sono comunque vaghe e non risolvono del tutto i problemi, perchè ad esempio suggerisce (MU B 59) di correggere la quinta falsa che si trova nel quarto tono fra il Si e il Fa naturale alterando il Fa, ma questo certo non è sufficiente a rendere questa scala utilizzabile come le altre: infatti rimane il problema dell’intervallo di tono fra settimo e ottavo grado.

Se si vuole andare alla ricerca di una possibile chiarificazione in merito a queste scale incomplete (oppure ambigue, o semplicemente sbagliate) è necessario far riferimento ad altri due punti all’interno della Musurgia Universalis nei quali Kircher espone diversi esempi musicali usando un sistema di scale simile a quello offerto dalla “Mensa Tonographica”. Il primo esempio cui ci rivolgiamo è il “Systema universale quo assumptum thema per XII tonos mutatur essentialiter” (MU B 63), è contenuto all’interno dell’ottavo libro, che mostra la trasposizione nei dodici toni di una breve clausula (si veda la trascrizione in Appendice XXII-XXIII) Il secondo, insospettabilmente, si trova nel quinto libro al capitolo “De Musurgiae Patheticae”: nei “Paradigmata musicae patheticae in 12 Tonis exhibita” (MU A 573-577) Kircher ha offerto un’esposizione delle caratteristiche affettive dei dodici toni che egli definisce “moderni” pur avendoli descritti in precedenza in modo tradizionale; troviamo esempi musicali di un certo respiro che tendono al bipolarismo maggiore/minore, sorprendentemente accanto ad un’esposizione che utilizza terminologie e concetti ancora modali. Ci siamo mossi con la speranza di trovare esempi di queste “scale” poco discernibili che ci consentano empiricamente di comprendere e colmare le lacune che sono rimaste. Queste parti tuttavia non ci sono di molto aiuto per risolvere il problema dei toni imperfetti, perché negli esempi forniti per i toni IV, V e VIII permane l’ambiguità già riscontrata. Nel caso dell’Hypophrygius (si veda la trascrizione in Appendice XXIV) il tono d’impianto è certamente una scala di Mi che ha sempre un intervallo di 3° maggiore fra il primo e il terzo grado ed evita il salto di seconda eccedente fra il Fa e il Sol diesis alterando, come abbiamo visto suggerire in MU B 59, il secondo grado; tuttavia rimane insoluta la “sospensione” del settimo grado, costantemente a distanza di un tono intero dal primo grado, mentre invece Kircher ha fornito in MU B 74 alcune norme empiriche per evitare questo inconveniente: va detto che in tali norme non ha compreso il caso di una scala che inizi sul Mi. L’esempio del quinto tono (in Appendice XXV) è forse in sé meno ambiguo, ma non scioglie ugualmente il nodo della questione, perché non si può in nessun caso affermare che la scala rispetti l’impianto del Si bemolle maggiore: il quarto grado è sempre un Mi naturale: solo una volta il Mi viene bemollizzato. Per quanto riguarda l’Hypomixolydius addirittura si riscontra una totale discrepanza fra la “Mensa Tonographica” e il “Paradigma”: infatti in questo caso non siamo di fronte ad un ambiguo Do maggiore senza sensibile, ma ad una frase in tono di Sol che oscilla fra maggiore e minore.

Il “Systema Universale” (MU B 63) non ci aiuta molto di più in merito a questi schemi anomali di scale. I toni IV, V e VIII rimangono tali e quali e per di più non vengono messe in pratica le esortazioni empiriche fornite altrove (MU B 69 e MU B 74) dallo stesso autore. Ad esempio nella clausula del quarto tono Kircher non rispetta la norma empirica che consiglia di correggere il Fa naturale in Fa diesis: se avesse seguito i suoi stessi consigli avrebbe potuto trasformare il tono in una scala di Mi, maggiore o minore. La clausola del IV tono è inoltre afflitta da alcune imprecisioni: gli esempi sono infatti anche ambigui per quello che riguarda il Sol, che talvolta è diesizzato, mentre altre volte è invece naturale.

Si è detto che nella “Mensa Tonographica” ogni tono è stato succintamente definito anche per quanto riguarda la sua qualitas, cioè viene fornita una stringata descrizione del contenuto affettivo di ciascuno. Così facendo Kircher non si discosta molto da un atteggiamento tipico della sua epoca. Ricordiamo che, come sottolineato più diffusamente in I.4.E, Kircher è uno dei più autorevoli e originali autori dell’Affektenlehre, che egli in primo luogo rapporta tradizionalmente ai quattro umori fondamentali riallacciandosi alla teoria dei quattro temperamenti di Galeno: tuttavia nella “Mensa Tonographica” le annotazioni affettive hanno il sapore di un comportamento stereotipato. Sembra decisamente da sottoscrivere in questo caso l’affermazione di Martin Bukofzer secondo cui, sebbene nei trattati barocchi di teoria musicale si trovino più o meno dettagliati elenchi delle qualità affettive di ciascun modo o tono,

nell’età barocca i collegamenti erano diventati stereotipate e convenzionali caratteristiche dei toni, di cui possiamo osservare la sopravvivenza anche nelle Opere di Mozart. Che le caratteristiche fossero determinate da ragioni acustiche […] o fossero com’è più probabile sbiaditi residui di riferimenti speculativi […] poco importa.[186]

In Kircher si ritrova una mescolanza di arcaica speculazione sugli effetti della musica e sugli “affetti” dei toni e di progressiva affermazione della tonalità: si crea un ibrido nel quale un certo bagaglio culturale del passato pur non avendo più alcun peso non viene ancora abbandonato. Bisogna dire che per Kircher il mantenere in certe argomentazioni queste nozioni del passato non valeva tanto come il mantenimento di uno stereotipo o l’ossequio ad una tradizione: egli veramente credeva, in qualche misura, alle misteriose e mistiche potenzialità della musica. Infatti, anche se in MU A 63 egli parla di “Christus solus Orpheus”, unico autore di veraci miracoli, la Musurgia Universalis è densa di passi decisamente indirizzati in questo senso. Kircher tuttavia da un lato spiega come scegliere il tono più appropriato rispetto al contenuto affettivo del testo da musicare ma dall’altro vanifica l’eventuale risultato, che deve essere definito decisamente psicagogico e non solo emotivo, consigliando vivamente di “modulare” da un tono all’altro nel corso di un brano per dare varietà alla propria composizione, determinando così un contrastante caleidoscopio di stimoli diversi che si annullano a vicenda. Quale sarebbe infatti il risultato di una modulazione da un tono iniziale VI “bellicosus” al tono II che invece è “laetus, vagus” o magari al tono V che è “hilaris”? Certamente l’effetto potenziale del tono di impianto, quello di muovere all’azione violenta, sarebbe del tutto vanificato.

Entriamo brevemente nello specifico dell’esposizione della qualitas: notiamo che Kircher non si discosta dalla tipizzazione tradizionale, come si può riscontrare confrontando queste pagine con le sezioni analoghe di un qualsiasi testo, ad esempio Il Musico Testore di Zaccaria Tevo.[187] Si veda questo estratto da MU A 573-577:

Primus Tonus affectibus religionis & pietatis & amoris in DEVM mirifice seruit; [..] Secundus Tonus modestam, & religiosam laetitiam prae se fert, unde ad laudes Dei concinendas aptissimus est; [..] Tertius Tonus maestitiam, gemitus, querelas lachrimas proprie amat; [..] Quartus Tonus amat maestitiam, & dolorem cum indignatione quadam; [..] Quintus Tonus hilaris, maiestate plenus, ad ardua animam elevans […] magnae in ecclesiasticis canticis dignitatis est, & maiestatis; [..] Sextus Tonus ad animos in ferocem dissolutionem, & vehementiam bellicam incitandos aptissimus est; [..] Septimus Tonus natura subtristis, querulus, amorosus, zelotypus, voluptuosus; [..] Octavus Tonus hilaris, vagus, iucundus, hominem exprimit honestis & pulchris rebus intentum; [..] Nonus Tonus natura timidus, curijs, & sollicitudinis plenus; [..] Decimus Tonus flebilis, mollis, hominem molli conversationi deditum exprimit; [..] Undecimus Tonus vagus, pulcher, harmoniosus, magnificus & regia maiestate plenus; [..] Duodecimus Tonus natura seuerus vagus vehemens, in choleram ubi intensior fuerit facile inflammat.

Nel settimo libro “Diacriticus”, detto anche “De Musurgia Antiquo-Moderna”, Kircher spiega “Quomodo musica miros affectus praestare possit” (MU A 550): Kircher esamina i vari tipi di effetti, che possono essere sia di origine diabolica (“potest Diabolus ad sonum citharae […] potenter humani corporis humores conturbare”); oppure tramite un demone; infine “per harmonicum sonum”. A questo proposito l’esposizione di Kircher non si discosta minimamente da quella di Zarlino. Quattro sono le condizioni che devono essere soddisfatte perché una musica desti “naturalmente” degli affetti: “Prima est Harmonia; secunda numerus & proportio; tertia verborum […] vis; quarta audientis dispositio” (MU A 550).[188]

Come era l’intonazione di queste note? Come dovevano essere intonati gli intervalli? La risposta a queste domande viene fornita sempre nel quinto libro “Symphoniurgus”. Dopo varie ambiguità fra scala pitagorica e zarliniana il nostro autore espone finalmente i “Gradus octavae diatonicae” (MU A 567) che corrispondono ai valori della scala zarliniana. Riassumiamo brevemente: nella scala zarliniana (detta anche “scala naturale o dei rapporti semplici”) i gradi vengono indicati con rapporti frazionari in uno schema del tipo:

9/8 10/9 16/15 9/8 10/9 9/8 16/15
Do Re Mi Fa Sol La Si Do

Espressa in cent tale scala avrà i seguenti valori assoluti (la riga inferiore contiene i valori della scala temperata):

0 204 386 498 702 884 1088 1200
Do Re Mi Fa Sol La Si Do
0 200 400 500 700 900 1100 1200

Ricordiamo che gli intervalli della scala zarliniana sono fondamentalmente tre. Il tonus maius, indicato dal rapporto 9/8, il cui valore in cent è pari a 204: esso si trova fra le note Do-Re, Fa-Sol, La-Si. Il tonus minus vale invece 182 cents e la sua espressione frazionaria è 10/9: esso si trova fra le note Re-Mi e Sol-La. Il semitono diatonico non divide il tono in due parti esattamente uguali: “Tonus in duo semitonia aequalia dividi nequit” (MU A 81). Esso viene rappresentato dal rapporto frazionario 16/15, corrispondente a 112 cents, e si trova fra le note Mi-Fa e Si-Do: per trovare la posizione del Si bisognava procedere ascendendo di una terza maggiore dal Sol, cioè aggiungendo un intervallo simile a quello che si trova fra il Do e il Mi, oppure aggiungendo una quinta al Mi. Kircher definisce il semitono “anima totius musicae, regula totius harmoniae” (MU A 148) e lo chiama “semitonium maius” per distinguerlo dall’alterazione cromatica, “semitonium minus”: essa, tanto col diesis quanto col bemolle, viene espressa dalla frazione 25/24 e vale 70 cents. Essa viene dedotta calcolando la differenza fra l’intervallo di terza maggiore (es. Do-Mi: 5/4, oppure 386 cents) e l’intervallo di terza minore (es. Mi-Sol: 6/5, oppure 316 cents). Si avrà quindi: cents 386-316 = 70 = 5/4 : 6/5 = 25/24.

Tuttavia, in merito alla questione dei vari intervalli della scala zarliniana e della loro intonazione (anche in relazione agli intervalli della scala pitagorica) è fondamentale quanto sottolineato da Walker [189] a proposito della polemica sorta in merito fra Gioseffo Zarlino e Vincenzo Galilei. Uno studio delle due posizioni fa emergere una situazione estremamente fluida nella quale i cantanti (soprattutto se accompagnati da uno strumento a tastiera) si concedevano non poche deroghe alla giusta intonazione di Zarlino per ovviare alle incompatibilità intrinseche di una scala instabile, e in pratica si avvicinavano, come afferma Galilei, [190] al temperamento del tono intermedio. La scala di Zarlino, pensata astrattamente in termini matematici, era stata infatti concepita in modo da avere il maggior numero di consonanze perfette, le quali però si rivelavano spesso incompatibili fra loro, se l’intonazione doveva essere sempre giusta. La soluzione consisteva nel limare leggermente l’intonazione.[191] Di tutto questo, a parte l’esposizione dei “Gradus octavae diatonicae” ben poco traspare dalle pagine di Kircher.[192]

6.1.3 De valore notarum & mensura temporis

In questa sezione Kircher espone le basi elementari della semiografia musicale che dovrà essere utilizzata nell’applicazione della musurgia mirifica. Per prima cosa egli definisce il valore e il significato della scansione del tempo musicale, senza la quale non potrebbe esistere ritmo, che, ci ricorda, è ordine nel movimento: “Visum fuit Musurgis ad confusionem vitandam certum signum iuxta quod Cantores vocem suam dirigerent […] ordinare” (MU B 52). Ci pare quasi di vedere un maestro di coro scandire lo scorrere del tempo con il regolare movimento della mano. Diviso in due fasi, innalzamento e abbassamento, arsi e tesi, sistole e diastole (come disse Glareano), questo movimento viene chiamato da Kircher chronometron: egli ci informa (ibidem) che Boezio lo definì plausus, [193] i latini tactus, altri ancora mensura, mentre gli italiani usano il termine battuta. Per quanto riguarda la scrittura musicale, i valori delle note sono solo sei: brevis, semibrevis, minima, semiminima, fusa e semifusa. La semibrevis vale una mensura completa mentre tutti i rimanenti valori vengono espressi secondo un rapporto di proporzione binaria. Accanto vengono fornite anche le relative pause:

note & pause esempio musicale

Nella “Musurgia Rhythmica” Kircher era partito dai piedi ritmici per esporre un abbozzo di teoria del ritmo: nonostante il richiamo agli autori della metrica classica e ai loro continuatori medievali la cornice in cui egli si muove è chiaramente mensurale.[194] Infatti il valore delle note viene posto in relazione alla struttura della battuta.[195] Come appare in MU A 217, infatti,[196]

Maxima dormit, longa cubat, brevis sedet, semibrevis ambulat, minima properat, semiminima currit, chroma volat, semichroma evolat, bischroma evanescit.

Così in un altro passo della Musurgia Universalis Kircher si esprime in merito ai valori delle note, utilizzando una terminologia leggermente diversa e comprendendo nella sua esposizione una gamma più completa di valori. La musurgia mirifica fornisce infatti una versione ridotta di quella che noi chiameremmo teoria del solfeggio ritmico: tale versione è stata specificamente elaborata eliminando le parti più difficili o di uso meno comune, a beneficio di principianti interessati al lato pratico della composizione e non certo a discorsi teorici di carattere generale. Proprio a causa di questa volontà di semplificare le cose, nonostante le finalità propedeutiche di questo capitolo (e dell’intero ottavo libro), queste pagine sono carenti proprio laddove avrebbero dovuto essere più precise ed esaurienti, quando Kircher definisce il sistema dei tempi musicali ed espone il significato e il valore dei simboli che devono indicarli. Egli riecheggia espressioni e concetti della tradizionale teoria della notazione mensurale bianca [197] quando in MU B 53 afferma:

Est igitur tempus Musicum nihil aliud quam certa & determinata quantitas seu notularum sive figurarum minorum in una brevi vel semibrevi contentarum […]. Estque duplex perfectum & imperfectum: Tempus Perfectum invenitur in modulationis principio signato hoc charactere O quo indicatur brevem modulationem in omnibus esse perfectam, id est aequivalere tribus semibrevibus, at cum in principio cantilenae ponitur medius circulus C, indicatur hoc charactere brevem esse imperfectam, id est aequivalere duabus semibrevibus.

Ricordiamo anzitutto che nell’ambito della musica mensurale il termine tempus non possiede il significato moderno di “tempo”, ma indica la misura della brevis, che può valere due o tre semibrevi a seconda che il tempus sia imperfectus, binario, oppure perfectus, ternario. La mensura della semibreve si chiama invece prolatio, la quale può a sua volta essere perfetta o imperfetta: nel primo caso la semibreve varrà tre minime, nel secondo ne varrà due. Le varie combinazioni possibili di tempus e prolatio venivano indicate utilizzando segni particolari come cerchi e semicerchi, contrassegnati o meno da un punto.

Il confronto con questi aspetti del mensuralismo non merita di essere ulteriormente approfondito. Infatti in tutta la musurgia mirifica non è riscontrabile un solo passaggio in tempus (o prolatio) perfectus: l’indicazione dei valori ternari delle note comporta sempre l’uso del punto di valore, sul quale tuttavia Kircher non fa motto, mentre esso viene confermato e illustrato da Schott: “Punctum semper valet dimidium notae”.[198] Inoltre i due esempi forniti da Kircher (MU B 53) non si riferiscono tanto al tempus quanto alla proportio; [spiega dove si trova la proportio] il secondo poi confonde, errore nell’errore, tempus e prolatio:

MU B 53 esempio musicale

Abbiamo parlato di proportio, che è la chiave di volta del sistema di tempi della musurgia mirifica. Essa consiste nella riduzione o nell’aumento dei valori metrici delle note, mantenendosi del tutto estranea alle questioni della mensura di brevi e semibrevi.[199]

Il sistema della notazione mensurale si basava infatti sul principio che il tactus (cioè una mensura, ciclo completo di un’arsi e una tesi) fosse una unità di tempo fissa e immutabile. Il segno di proporzione, simile ad una frazione, era l’equivalente della moderna indicazione metronomica, poiché indicava in che misura il valore di una nota avrebbe dovuto essere modificato rispetto al tactus: la proportio agiva non già sulla velocità del tactus, immutabile, ma piuttosto diminuiva oppure aumentava secondo una precisa proporzione il valore temporale delle note rispetto al tactus medesimo.[200] Modificando il valore dell’integer valor di una nota, il segno di proporzione avrebbe detto quante note sub proportione avrebbero dovuto equivalere ad una mensura.

Questo in termini generali: per chiarire invece nello specifico del testo di Kircher un punto così importante ma in lui così confuso, sarà opportuno seguire il consiglio del nostro autore e far brevemente riferimento al “Liber V Symphoniurgus”, in particolare al capitolo “De Tempore Musico, Signis & numeris quibus tum Antiqui, tum Moderni id exprimunt” (MU A 676 e sgg.).

Tralasciando la prima parte, espressamente dedicata alla musica mensurale e alle questioni della mensura del tempus, articolata e ricca di esempi, rivolgeremo la nostra attenzione alla seconda metà del capitolo. Qui troviamo esposta la versione kircheriana delle proportiones, che si distacca in parte dalle regole generali del mensuralismo soprattutto in merito all’uso e al valore di alcuni simboli. Tali pagine offrono una ricca e pressochè esauriente interpretazione delle varie indicazioni di tempo utilizzate da Kircher nella musurgia mirifica.

Innanzitutto “C denotat […] tempus imperfectum, in quo duae minimae respondent uni semibrevi” (MU A 678). Inoltre il cerchio e il semicerchio sono equivalenti: “Sub signis C O […] duae minimae vel una semibrevis duabus minimis aequipollens, sub uno tempore […] completur” (ibidem). L’equipollenza di O e C è una personale variante introdotta da Kircher: generalmente O indicava il tempus perfectum, C quello imperfectum: tuttavia negli esempi musicali della musurgia mirifica il cerchio con questo valore non compare mai: il semicerchio viene invece utilizzato sette volte su un totale di cinquanta: questo numero non comprende i brani inseriti nel Dialogus à 6 del cardinale Bernardino Rocci, trascritto completamente in Appendice CX-CXXXI.

esempio 3 MU A 678

A proposito del tempo alla breve in proportio dupla, indicato dal segno ø, il più usato nella musurgia mirifica (ben ventun volte), Kircher (MU A 679) afferma:

Si memorata signa [ O e C ] inveniantur secta linea recta, […] tunc indicantur notas duplo minui debere, id est, omnes voces duplo velocius cantari debere.

In definitiva una mensura conterrà quattro minime: anche in questo caso il cerchio 0 non viene utilizzato.

MU A 679 esempio musicale

Giungiamo alle proporzioni ternarie, che sono fondamentalmente due: la proportio tripla e la proportio sesquialtera. A proposito della prima Kircher (MU A 679) precisa che

Si hac signa [ O e C ] notentur numeris, ut sequitur O ½ C ¼, huiusmodi triplam indicabit, loco unius semibrevis, quae uni temporis sive tactui respondebat, primo sub signo numeris non affecto, iam eadem numeris appositi significare tres semibreves proferendas esse, quod pulchre denotant numeri. […] [Numeri denotant] uni semibrevi iam respondere 3 semibreves.

Ogni battuta contiene quindi tre semibrevi:

MU A 679 esempio musicale

Un tempo apparentemente lento e solenne, caratterizzato da valori ampi (come ad esempio la prima sezione del Symphonismus à 6 di Bernardino Rocci, riprodotto in Appendice CXXII) dovrà quindi essere eseguito in modo che non si perda la sua natura movimentata e quasi di danza, senza lasciarsi fuorviare dalla presenza di valori ampi. Apel, [201] ad esempio, suggerisce di trascrivere il tempo 3/1 come un ¾ in cui O = o, a petto di un C trascritto in 4/4 con o = o. A proposito della proportio sequialtera, segnata O ¼ e C ¼, Kircher in MU A 680 afferma che

illa denotabunt loco duarum minimarum, quae indicantur per 2, & unum tempus explent, tres minimas esse accipiendas, quae indicantur per 3, ut tempus sive tactus expleant.

Chiaramente ogni battuta conterrà non più due ma tre minime:

MU A 679 esempio musicale

Kircher contempla ancora le proporzioni ternarie ma con indicazione alla breve: ø ¼ e ø ¼; ø ½ e ø ½. Il taglio verticale mostra che la proportio tripla e la proportio sequialtera, in questo caso, dovranno essere eseguite a velocità doppia, come appunto nel tempo alla breve.

I quattro tempi ternari rispetto ai due tempi binari C e ø hanno all’interno della musurgia mirifica un’incidenza decisamente minore, comparendo solo in sei casi complessivamente. Tuttavia esiste una profonda e insanabile discrepanza fra la chiara esposizione data alle pagine 679 e 680 del primo tomo e gli esempi musicali della musurgia mirifica in proportio ternaria. Oltre alla già accennata confusione terminologica, per cui qui Kircher denomina i tempi ternari come tempus perfectum, naturalmente articolati in tempus perfectus triplae maioris e tempus perfectum triplae minoris, commettendo un errore che egli stesso (in MU A 680) aveva criticato sostenendo che avrebbe mostrato l’ignoranza di chi se ne fosse servito, il nostro autore incorre in qualcosa di ben più grave: nella musurgia mirifica le indicazioni ¼ e ½ vengono utilizzate in modo del tutto inverso rispetto a quello che tanto le precedenti affermazioni dello stesso Kircher hanno fatto comprendere quanto la tradizione e la logica suggeriscono. Infatti, fatta eccezione per il già citato Dialogus à 6 del cardinale Bernardino Rocci, in cui la proportio ternaria è indicata correttamente con un preciso rapporto fra simboli e valore di ogni battuta, nella musurgia mirifica si trova sempre la proporzione ½ in relazione, ma sarebbe meglio dire in collisione, con strutture ritmiche chiaramente basate su gruppi ternari di minime, mentre indicazioni del tipo ¼ e ø ¼ si scontrano con strutturazioni di gruppi ternari di semibrevi.

MU B 66

Esempio musicale

MU B 66

Esempio musicale

Si tratta di una situazione inspiegabile, se non ipotizzando una clamorosa svista. Questo si è dimostrato un problema soprattutto in merito alle trascrizioni degli esempi musicali e degli schemi delle notae metrometrae dei Pinaces. In entrambi i casi è sembrato opportuno ripristinare la corretta indicazione numerica della proporzione; decisione suffragata soprattutto dall’auctoritas dello stesso Kircher: si veda supra in questo capitolo; in Kircher queste argomentazioni si trovano nel capitolo “De tempore Musico, Signis & Numeris quibus tum Antiqui, tum Moderni id exprimunt” (MU A 676-684). Per quanto riguarda le notae metrometrae, il problema è limitato al primo syntagma, l’unico in cui si trovano anche tempi ternari: la decisione di sovvertire le indicazioni di Kircher (da lui stesso omesse in MU B 80) è ulteriormente confortata dal fatto che egli appone (sempre nel luogo appropriato) anche la denominazione di tempus triplae maioris e di tempus triplae minoris.

6.1.4 Musarithmorum notitia

Il musarithmus è una sezione di armonia a quattro parti, armonicamente adattata per collimare con uno specifico metro poetico ed espressa in numeri harmonici, come spiega in MU B 53:

Musarithmum […] nihil aliud dicimus, quam harmonicorum numerorum certis pedibus metricis correspondentium atque in pinaces seu tabulas methodicas redactorum aggregatum.

Si è già visto incidentalmente che i vari musarithmi afferenti ad uno specifico metro poetico sono raccolti in tabelle definite " pinax" (termine latino che significa appunto “tavola”, “quadro”): ogni pinax contiene un certo numero di musarithmi (nove, dieci, addirittura talvolta undici) e uno schema di notae metrometrae, articolato in ritmi per il tempo binario e ritmi per i tempi ternari. Tutte le tabelle numeriche, eccezion fatta per le prime due, si articolano in quattro colonne di musarithmi, ciascuna delle quali deve essere usata rispettivamente per musicare il primo, secondo, terzo e quarto verso (che Kircher chiama “stropha”) di ogni strofa. Kircher assume come standard universale una struttura a tetracolon; nel caso di strofe composte da un numero maggiore di versi, la prima e quarta colonna rimarranno dedicate ai versi estremi, mentre per i versi intermedi verranni utilizzate più volte la seconda e la terza colonna. Nel caso opposto di strofe più brevi il procedimento sarà ovviamente di segno opposto.

Una tale quadruplice divisione dovrebbe avere anche un risvolto funzionale sul piano armonico, nel senso che si dovrebbe riconoscere una differenziazione fra musarithmi dal decorso armonico conclusivo e statico, che iniziano e soprattutto concludono la strofa, e musarithmi invece armonicamente “dinamici” che aprono le possibilità di un arco di embrionale sviluppo all’interno della strofa. Rimandiamo alla sezione 6.1.1 a pagina ???.

I musarithmi si presentano quindi come aggregati di cifre disposte su quattro righe e quattro colonne (l’esempio è tratto dal " Pinax IV. Iambica Euripidaea penultima longa" MU B 83):

553233 543242 554323 543423
875777 775787 777577 775655
323455 323585 332345 323171
868733 378565 337873 378451

Esempio

Nell’esempio i quattro blocchi si riferiscono a quattro versi distinti: la lettura è melodica su ogni riga da destra verso sinistra, armonica in ogni colonna dal basso verso l’alto; le quattro linee si riferiscono alle quattro parti tradizionali dell’armonia vocale: bassus, tenor, altus e cantus.[202] Contrariamente ai numeri harmonici della “Mensa Tonographica” i quali, in quanto schemi di scale, recavano anche le indicazioni di eventuali note alterate, i musarithmi, in quanto applicabili a qualsiasi tono, non portano alcuna alterazione: sarà cura del “compositore” aggiungere quelle relative al tono da lui scelto, quando trascriverà sul “Palimpsestus” i numeri harmonici secondo i valori suggeritigli dallo schema di notae metrometrae che ha deciso di adottare.

6.2 I Syntagma: contrapunctus simplex

[Fai notare come la definizione sia antiquata, mentre la realtà è in abbozzo armonica. Manca la considerazione della condotta polifonica, o sbaglio? Cfr. Bianconi.]

Si è detto che la “Pars III” si articola grosso modo in tre grosse sezioni, finalizzate alla composizione in contrapunctus simplex, in contrapunctus floridus e alla retorica musicale. Le migliori definizioni di queste tipologie si trovano nel capitolo “De Contrapuncti divisione” (MU A 241 e sgg.) del quinto libro “Symphoniurgus”. Kircher vi ha individuato le categorie tecnico-stilistiche in cui si può dividere l’arte del contrappunto: non sarà inutile soffermarsi ad esaminare brevemente quelle pagine.

In primo luogo il contrappunto può essere extemporaneus, cioè improvvisato, oppure artificiosus, definito “plani cantus diversis melodijs incedentis artificiosa ordinatio, notarumve contrapositio” (MU A 241); Kircher condanna l’abitudine all’improvvisazione dei cantori, cui non si addice un’abitudine degna di cacciatori e pastori (ibidem). Il contrappunto artificiosus si divide quindi a sua volta in simplex, floridus e coloratus; infine il contrappunto _coloratus_può essere ulteriormente distinto in contrapunctus solutus, ligatus e fugatus.

Nel contrapunctus simplex le voci procedono “puntum contra punctum id est nota contra notam” e quindi “aequali temporis mensura ponitur” (MU A 241), cioè tutte le voci procedono omoritmicamente.

Nel contrapunctus floridus, di cui ci occuperemo estesamente quando giungeremo al II Syntagma, invece, come spiega Kircher in MU A 242,

[…] ad Gregorianum seu choralem cantum, vel ad quodcumque subiectum veluti pictas & diversarum figurarum coloribus exornatas notarum species accomodamus. [Pertanto] non amplius nota contra notam, sed notae inferioris vocis frangantur & diminuentur.

L’esempio di pagina 242 corrisponde al contrappunto “quarti contro interi” di Fux.

Si giunge così al contrapunctus coloratus, la cui dimensione esula dai limiti della musurgia mirifica in quanto il syntagma ad esso dedicato manca e forse non è mai esistito: in questo caso le voci possono essere condotte con la massima libertà per comporre una “artificiosa harmonia”. Le tre varietà di tale contrappunto scaturiscono dal diverso trattamento imposto alle dissonanze, che nel contrapunctus solutus “miscentur sine ulla ligatura” (MU A 242), al contrario del contrapunctus ligatus. Il contrapunctus fugatus sta ad indicare ogni tipo di forma imitativa fra le varie voci di una composizione.

Il “Syntagma I” comporta l’uso di undici diversi pinaces ordinati progressivamente secondo il numero di sillabe del metrum cui si riferiscono. Per un’analisi del materiale musicale contenuto nelle tabelle si faccia riferimento alla sezione V.6.

6.2.1 Primo esempio pratico

Si vedrà ora come concretamente il testo, i musarithmi e le notae metrometrae, i tre nuclei del sistema compositivo meccanico interagiscano nelle mani di un “compositore” che applichi la tecnica kircheriana. Kircher decide di utilizzare per il suo primo esempio pratico il “Veni Creator Spiritus”, il noto inno di Rabano Mauro, isolandone i primi quattro versi:

Veni Creator Spiritus
Mentes tuorum visita
Imple superna gratia
Quae tu creasti pectora.

Per prima cosa è necessario scegliere il tono di impianto della composizione, una scelta che non è arbitraria ma motivata dall’interpretazione del contenuto affettivo del testo: naturalmente si tratta di una decisione che lascia un certo margine di libertà, e non giunge mai a risultati definitivi e univoci. In questo caso sarà particolarmente appropriato il tono sesto Hypolydius (impostato sul Fa, signatio mollis: interpretabile come un Fa maggiore), il quale bene illustra lo spirito del testo di Rabano, caratterizzato da “spem & fiduciam in divina misericordia” (MU B 54).

Scelto il tono l’operatore della musurgia mirifica dovrà trascrivere la colonna della “Mensa Tonographica” relativa ad esso, accostando le lettere alle cifre:

8 Fa
7 Mi
6 Re
5 Do
4 Sib (bemolle per via della signatio mollis)
3 La
2 Sol
1 Fa

Tabella

Quindi, una volta approntato il “Palimpsestus Phonotacticus” con il corretto sistema di chiavi, l’operatore dovrà far riferimento ad uno specifico pinax dal quale ricavare le note che dovranno poi essere trascritte. Egli deve scegliere la tabella adeguata alla struttura metrica del testo e lo soccorrono in questo caso le nozioni esposte nella “Pars II”. Nell’esempio in questione si constata rapidamente che si tratta di un octosyllabum cui è relativo il " Pinax VI" (vedi in Appendice XLII-XLIII).

Procediamo con le operazioni: scegliamo dal pinax quattro musarithmi che soddisfino i quattro versi del testo:

55555555 33334334 33287667 54328878
77778778 88888888 88235545 86543523
22233223 55566556 33482222 34568555
55538558 88864884 88765225 82346558

Esempio

In questo modo la fase della dispositio è quasi conclusa: sono già state prese le decisioni di impianto generale che determinano il carattere del brano, e rimane ancora da decidere se la scansione del tempo debba essere binaria o ternaria. Quindi si dovrà operare una selezione fra le notae metrometrae all’interno della tabella scelta.

Kircher adotta per il suo esempio un semplice tempo binario alla breve, in proportio dupla. Ormai le cose sono molto semplici, in quanto rimangono da compiere unicamente azioni ripetitive: dopo aver diviso il testo in sillabe si dovrà assegnare ad ognuna di esse un numerus harmonicus e una nota metrometra, quindi trascrivere il tutto per ottenere la seguente armonizzazione, relativa al primo verso (si veda tutto il tetracolon in Appendice XXVII):

MU B 55

Esempio musicale

Contrariamente al solito Kircher è precisissimo e prodigo di consigli per il suo apprendista compositore: lo prende addirittura per mano, illustrandogli (MU B 56) passo passo quel che deve fare:

Ponas ante te palimpsestum dicta paulo ante ratione praeparatum, una cum scala clauium sexti toni columnae applicata. […] Cum igitur in prima primi musarithmi serie 5 octies replicetur, vide cui in columna clauium litterae respondeat 5, & reperies respondere C. In pentagrammo itaque Cantus in spacio cui C literam inscriptam vides, iuxta 8 syllabas octo puncta imprimes, habebisque cantum effigiatum.

6.2.2 Prime tecniche di variazione

Di fronte al risultato di tale primo esempio pratico si ha la sensazione che fossero veramente nel giusto quei Musici che ritenevano “hanc ratione semper eadem harmoniam prodituram” (MU B 57), e la musurgia mirifica, così osannata, pare ben poca cosa. Questo è tuttavia semplicemente il primo stadio del lavoro, e Kircher fin d’ora espone alcuni metodi per variare i risultati senza dubbio monotoni derivanti dalla semplice trascrizione del musarithmus, il cui materiale melodico-armonico già in queste prime pagine è passibile di ben quattro operazioni che lo variano senza modificarne la struttura profonda. Esse sono:

1 traspositio musarithmorum
2 mutatio tonorum
3 mutatio rationis valorum tonorum
4 processus per distincta membra

Tabella

La traspositio musarithmorum consiste nello scambio delle voci all’interno di un musarithmus: fatta eccezione per la linea del basso, le rimanenti tre linee possono infatti essere assegnate a qualunque voce, non solo per variare il tessuto sonoro ma anche per ragioni meramente pratiche legate all’estensione di ogni singola voce. La mutatio tonorum, che viene presentata come una specie di modulazione mentre si tratta più di un cambiamento ex abrupto che di un movimento preparato e concluso, per il momento viene applicata a tutta la composizione nel suo insieme e non è un movimento interno riferito ad alcune sezioni, che passano dal tono d’impianto ad un altro per fare poi ritorno al punto di partenza. Esaminiamo l’esempio fornito da Kircher: si parte sempre dal primo verso del “Veni Creator Spiritus” che, abbandonando l’iniziale tono VI Hypolydius (Fa maggiore), viene via via riscritto nei seguenti toni:

tono I Dorius _durus_ Re minore
tono II Hypodorius _mollis_ Sol minore
tono III Phrygius _durus_ La minore
tono IV Hypophrygius _durus_ ***

Tabella

Si tratta di una semplice trasposizione, come si può vedere nel “Systema Universale” già trattato in precedenza (Appendice XXII-XXIII; si veda anche Appendice XXX con la trascrizione dell’esempio di Kircher), dal quale sono tratte queste clausolae.

Qui per la prima volta Kircher descrive (a modo suo, beninteso) l’uso di una scala minore. Va ribadito che negli excursus teorici di Kircher si cercherebbe invano un’eco seppur minima della situazione delineata nelle pagine in esame; nelle quali comunque il nostro autore illustra con proprietà i dettagli tecnici del nascente linguaggio tonale. Kircher espone con cura l’uso pratico delle alterazioni che in alcune scale bemollizzano il sesto grado e diesizzano il settimo grado, ma glissa totalmente circa le indubitabili (allora come oggi) implicazioni di tale procedimento: il concetto della dualità maggiore/minore è qualcosa che esula totalmente dalla musurgia mirifica e dall’intera Musurgia Universalis, pur balzando agli occhi e alle orecchie, come in questo caso, negli esempi pratici.

Scendendo nel dettaglio tecnico, emergono le prescrizioni circa la condotta del settimo grado qualora esso sia alterato, il che in pratica determina che esso si comporti come una vera sensibile di una tonalità minore: l’alterazione deve essere mantenuta se la nota subisce successivamente un movimento melodico ascendente (Do#-Re), oppure se si trova nell’accordo conclusivo del brano (MU B 62) oppure ancora se essa è seguita da una pausa. Nel caso che il settimo grado alterato segua un movimento melodico discendente, allora il diesis deve essere senz’altro omesso (non Do#-Sib, ma Do-Sib) ( ibidem), in sostanza evitando il salto di seconda eccedente. Si nota anche la tendenza a prescrivere una conclusione in maggiore sulla triade della tonica, suggerendo di diesizzare il terzo grado della scala nell’accordo finale ( ibidem).

La mutatio rationis valorum notarum consiste, come dice il nome, nell’uso variato degli schemi ritmici forniti per ciascuna tabella numerica e viene esposta nello “Schema V” (MU B 65): in realtà non viene spiegato nulla di nuovo, ma Kircher ricorda la “meravigliosa forza” delle combinazioni e raccomanda di applicare lo stesso schema di notae metrometrae a tutte e quattro le voci, perché i musarithmi sono elaborati per il contrappunto semplice isocrono. Si veda la trascrizione di un esempio (MU B 57) in Appendice XXVIII-XXIX.

6.2.3 Processus per distincta membra

Allo stato delle cose sicuramente il punto per noi più interessante è il procedimento per distincta membra, che tra l’altro è forse il più efficace e produttivo fra i quattro esposti: tale tecnica comporta l’uso esclusivo dei primi due pinaces. Le prime due tabelle si distinguono infatti dalle rimanenti per la loro particolare strutturazione, che ne determina un uso in parte diverso: i musarithmi contenuti in esse non sono stati infatti costruiti su un preciso metro poetico, ma piuttosto su piedi ritmici isolati, su “voces polisyllabae” costituite da un numero di sillabe che varia da un minimo di due ad un massimo di sei. Il primo pinax deve essere utilizzato con polisillabi la cui penultima sillaba è lunga, il secondo con polisillabi con la penultima breve. Per ogni raggruppamento sillabico vengono forniti dieci musarithmi diversi e un numero variabile di notae metrometrae. Gli schemi sono sei/sette per i tempi binari e quattro/sei per i tempi in proportio ternaria, distinti al solito in tempus triplae maioris e tempus triplae minoris (in Appendice XXXII-LIII si trovano le trascrizioni). Queste due tabelle, dal momento che non contengono strutture musicali modellate su un verso completo (strutture che dovrebbero articolarsi ciascuna come una frase musicale compiuta), espongono un materiale musicale che offre segmenti di musarithmus articolati su segmenti di verso. Il “compositore” potrà utilizzarli come le tessere di un mosaico per musicare un qualsiasi testo; preventivamente il testo da musicare dovrà essere scomposto in parti costituenti che andranno trattate singolarmente e successivamente assemblate. Le possibilità combinatorie sono pressoché infinite, come sostiene Kircher in MU B 59 e come abbiamo avuto modo di verificare.

Seguiamo l’esposizione di Kircher, che mostra (MU B 58) come il verso “Veni Creator Spiritus” possa essere diviso in almeno sei modi, individuando in esso le “voces polysyllabae” che lo costituiscono:

1 Veni / Creator / Spiritus (2+3+3)
2 Veni / Creator Spiritus (2+6)
3 Veni Creator / Spiritus (5+3)
4 Veni / Cre / ator / Spiritus (3+2+3)
5 Veni Cre / ator Spiritus (3+5)
6 Veni / Creator Spi / ritus (2+4+2)

Tabella

Una volta individuate delle unità componenti sarà sufficiente valutare, secondo le regole della prosodia, la quantità della penultima sillaba di ciascun segmento per decidere a quale delle due tabelle si dovrà fare riferimento; quindi, una volta scelto fra i musarithmi quello relativo al numero di sillabe costituenti ciascuna unità, il procedimento di trascrizione non differisce in nulla rispetto alla tecnica esposta in precedenza. Ecco uno fra gli innumerevoli risultati possibili:

(esempio indicato 10 sulla tesi)

Esempio musicale

Non ci sono dubbi sul fatto che questo modo di operare abbia una potenzialità produttiva infinitamente superiore rispetto alla traspositio e alle mutationes esaminate in precedenza: basti considerare come un singolo verso abbia potuto essere scomposto in sei modi diversi (ma se ne potrebbero trovare molti di più) ciascuno composto da un numero variabile di segmenti ognuno dei quali può essere musicato in modo diverso scegliendo da un gruppo di dieci musarithmi.

La grande dote di questo metodo consiste nel non costringere l’operatore ad utilizzare lunghe frasi che poi è difficilissimo se non impossibile variare in modo soddisfacente: essa offre un numero di microsegmenti che possono essere assemblati fino a creare una frase musicale completa, in modo tale che ben difficilmente potrà riemergere lo schema di una clausula prodotta in precedenza.

Esaminiamo quindi brevemente il materiale musicale di questi due pinaces per le voces polysyllabae. Queste due tabelle utilizzano un numero limitato di accordi, sempre basati sulla triade: vengono soprattutto sfruttati l’accordo sul primo e sul quinto grado; ciascuno di questi due accordi ricorre nel 40 per cento circa dei casi. Il rimanente 20 per cento comprende accordi sul secondo, quarto e sesto grado; l’accordo sul secondo grado viene frequentemente utilizzato nelle cadenze II-V-I come doppia dominante. La condotta delle parti all’interno dei musarithmi è sostanzialmente corretta: nelle cadenze la sensibile sale sempre al primo grado. Le clausulae sono concluse da cadenze perfette, sospese o plagali.

Sia pur nella grande varietà di ritmi presentati, è possibile riscontrare notevoli differenze fra i due pinaces nei rispettivi schemi di notae metrometrae: nel primo pinax (per polisillabi con la penultima sillaba lunga) la penultima nota è in battere o viene sottolineata ed enfatizzata da una posizione in sincope; nel secondo pinax (penultima sillaba breve) la penultima nota si trova sempre su posizioni deboli, spesso come nota di valore più breve dopo una nota puntata.

Non si nota alcuna differenza fra la struttura armonica di un pinax e quella dell’altro, e la condotta melodica delle singole voci non differisce: questi pinaces non ci hanno concesso di trarre alcuna ulteriore informazione circa la condotta delle parti in relazione alla struttura metrica del testo rispetto a quanto chiarito nel capitolo IV di questo studio. Ricordiamo infatti che Kircher con molta finezza aveva messo in guardia nei confronti di coloro che ritenevano che la trasposizione in musica di un qualsiasi piede poetico fosse un mero problema di “traduzione” delle sillabe brevi con note di valore breve e delle sillabe lunghe con note lunghe. Kircher aveva più intelligentemente posto la questione nei termini di quella che possiamo definire posizione all’interno dello schema ritmico e accentuativo della battuta: il musicista doveva far collimare gli accenti della frase poetica e i tempi forti della battuta, allacciando inoltre il tutto alla condotta melodica (MU B 27-45): tuttavia nulla di quelle preoccupazioni è filtrato nelle tabelle dei due pinaces per le voces polysyllabae.

6.3 Canones totius artis: la tecnica.

Una volta esposti con l’esempio e nel modo più semplice possibile i rudimenti dell’arte compositiva mirifica, è giunto per Kircher il momento di esporre estesamente i principali aspetti tecnici del suo sistema: tale materia trova posto nel capitolo IV che, estendendosi per dieci pagine, è uno dei più cospicui dell’intero ottavo libro (MU B 67-76). Va sottolineato come in queste pagine sia del tutto assente una qualsiasi valutazione o considerazione delle implicazioni teoriche che alcune regole empiriche necessariamente recano con sè. Il teorico a volte farraginoso ma certo non sprovveduto che si incontra altrove nella Musurgia Universalis ha in questo caso abdicato totalmente di fronte al pragmatico ad oltranza: negli intendimenti di Kircher la musurgia mirifica doveva essere illustrata da un manuale essenzialmente pratico.

In dieci “Canones totius artis” ritroviamo nozioni già esposte precedentemente: il principiante viene ad esempio ammonito a non dimenticare mai di notare con cura la signatio (“Canon I De modo Signationis vocum”, MU B 67). Nel “Canon II De musarithmis eorumque ordinatione” (ibidem) Kircher rammenta che si possono (talvolta si devono) scambiare fra loro le linee melodiche delle tre voci superiori, qualora lo rendano necessario ragioni di eccessiva acutezza o gravità di una o più voci, quando una parte si spinge fuori registro oppure va ad incrociarne un’altra, cosa che facilmente accade se si utilizza il tono V Lydius che si rivela spesso troppo acuto; Kircher non fa motto delle controindicazioni inerenti tale tono così come le ha esposte in precedenza. Il problema può anche essere risolto trasportando all’ottava superiore od inferiore le voci eventualmente fuori registro.

Il “Canon III De b b & x intra columnas Tonorum occurrentibus” (MU B 69) enuncia le norme che regolano l’uso e l’osservanza dei segni di alterazione cromatica, ma non si scopre nulla che già non si sapesse.

Il “Canon IV De Tonorum electione” (MU B 70) e il “Canon V De illicitis intervallis” (MU B 71) sono già stati oggetto della nostra attenzione in V.1.B in merito alle scale anomale della “Mensa Tonographica” e quindi non riprenderemo in questa sede il discorso: Kircher in definitiva invita i principianti a servirsi soprattutto del II e del VI tono (rispettivamente Sol minore e Fa maggiore).

Gli intervalli veramente proibiti nella musurgia mirifica sono fondamentalmente due: la quinta diminuita e la quarta eccedente. Nel “Canon V De illicitis intervallis evitandis” (MU B 71) Kircher consiglia vivamente di abbandonare il musarithmus o di cambiare almeno tono qualora ci si imbattesse in un intervallo non consentito. Alle stesse questioni si riferisce succintamente il “Canon VII De vitandis prohibitis intervallis” (MU B 74). L’allievo è invitato a non porre mai in signatio mollis una scala che inizi sul La oppure sul Mi, a causa della quinta diminuita che si verrebbe a creare fra Mi e Sib. Indubbiamente si tratta di una ben strana prescrizione, perché in tutta la “Mensa Tonographica” non esiste alcuna scala che abbia il Si bemolle in chiave e sia costruita su queste note. Il discorso si ripete per le scale con signatio dura: divieto assoluto di utilizzare senza Si bemolle in chiave scale che inizino dal Sib (ci si stupirebbe del contrario!) e dal Mi. Questa eventualità corrisponde nella “Mensa Tonographica” al tono IV Hypophrygius, di cui Kircher ha già esaminato le peculiarità illustrando il modo di modificarlo e renderlo utilizzabile. La musurgia mirifica sembra diventare sempre più un testo che cova al proprio interno contraddizioni insanabili; forse Kircher era semplicemente molto distratto, o la “Mensa Tonographica” contiene solo poche scale rispetto a quelle che i musici pratici utilizzavano. Queste scale sarebbero state scelte per mantenere un legame con la tradizione.

Ritornando alla questione specifica di cui sopra, Kircher afferma che, se si vuole procedere ugualmente, “…] vel clausula mutanda est ex duro in mollem, vel ex molli in durum” (MU B 71). Non è però assolutamente chiaro quale sia l’incidenza di questa mutatio, né quanto essa debba estendersi, se a tutta la composizione o solo ad una sua parte: d’altronde Kircher stesso afferma di esporre tutto “confusius” di proposito, confidando nella prudenza e nel buon senso del “compositore”, che farà bene a lasciar perdere, cercando un musarithmus più abbordabile.

Il “Canon IX De Multiplicatione Musarithmorum” (MU B 74) non tratta propriamente una specifica questione tecnica: si tratta piuttosto di un’ulteriore procedura che è possibile applicare per variare un qualsiasi musarithmus, ottenendo un “falso bordone”: un canto che insiste cioè sulla medesima nota o accordo, ribattendolo mentre scandisce il testo. Per esaminare un esempio nel dettaglio si faccia riferimento nuovamente alla linea di basso del “Veni Creator Spiritus”: nuovamente Kircher omette le altre voci per motivi di spazio e di brevità di esposizione, ma in ogni caso non sussiste alcun rischio di confusione perchè ogni cifra di ogni colonna accordale è legata indissolubilmente alle rimanenti tre. Questa la sequenza:

51456551

Esempio musicale

Come si è già detto in precedenza, si tratta di una struttura composta da otto numeri harmonici che corrispondono alle otto sillabe di ogni verso. Se si vuole ottenere un “falso bordone” basterà ripetere otto volte ciascun numerus harmonicus in modo da armonizzare in modo omogeneo le otto sillabe di ogni verso:

MU B 75 Esempio musicale

Questa operazione può essere condotta allo stesso modo su tutte le note, come nell’esempio, oppure a discrezione solo su alcune, in modo non uniforme ma variato. Infatti è possibile “primam notam […] duplare vel triplare vel quadriplare […] &c. & secundam notam […] sextuplare vel quintuplare vel quadruplare […]” (MU B 75) in modo da alternare batture in falso bordone ad altre armonizzate regolarmente in contrapunctus simplex.

L’unica restrizione di questo procedimento, che non viene espressa da Kircher ma si evince con evidenza dagli esempi, consiste nel mantenere immutata la clausola finale del musarithmus, per non perdere l’effetto del movimento cadenzale. L’accorgimento spiegato si colloca quindi accanto a poche altre procedure di variazione che con semplici operazioni aprono la via ad una serie pressoché inesauribile di varianti del materiale di partenza, come appare da questi esempi:

vari MU B 75 Esempio musicale

Esso altera l’arco temporale dello svolgimento di una sequenza di accordi consentendo libere combinazioni di ripetizioni e svolgimenti lineari: ciò che rimane al di fuori delle possibilità è la variazione del percorso armonico di una sequenza musaritmica. L’unico procedimento in grado di influenzare questo livello superiore è il processus per distincta membra, che viene nuovamente esposto in poche righe nel “Canon X De Verborum ad notas accomodatione” (MU B 76).

6.3.1 Mutatio tonorum

Il “Canon VI De Mutatione Tonorum in una & eadem cantilena” (MU B 72), estendendo il dettato di MU B 62-65 insegna come sia possibile passare da un tono all’altro nell’ambito di uno stesso brano. Tutto questo non comporta assolutamente che si possa parlare di modulazione, quanto piuttosto di brusca transizione.

La prima regola che non va mai elusa è che un brano deve sempre terminare nel tono con cui è iniziato, mentre “medium autem diversorum tonorum clausulis luxuriari [potest]” (MU B 72). Il passaggio da un tono all’altro non viene preparato in alcun modo e la cosa si risolve nella maniera più semplice: quando si vuole saltare ad un altro tono si dovrà utilizzare una seconda volta l’ultimo musarithmus impiegato, riferendolo naturalmente ad un nuovo schema di scala. L’unica vera precauzione consiste nell’evitare assolutamente di mescolare toni dalla signatio dura a toni dalla signatio mollis.

Esaminiamo l’esempio fornito da Kircher a pagina 57, esempio che muove sempre dal “Veni Creator Spiritus” con cui hanno avuto esordio le dimostrazioni pratiche della “Pars III”. Kircher per ragioni di speditezza enuclea dal musarithmus la sola linea del Bassus: 51456551 (tratto dall'“Alius modus”, MU B 59). La mutatio avviene passando dal tono VI al II, quindi al IX, per ritornare nuovamente al VI tono: viene utilizzato sempre lo stesso musarithmus applicato successivamente alle varie colonne riprodotte in Appendice XX e XXI. Si veda la trascrizione completa per le quattro voci riportata in Appendice XXX: appare chiaramente l’inevitabile brutalità di una simile transizione; inoltre, per quanto (come vedremo in V.4 e in VI.2) molti musarithmi abbiano il primo e l’ultimo accordo sul primo, quarto o quinto grado della scala, nella mutatio tonorum non viene perseguito alcun movimento cadenzale che accompagni il passaggio da un tono all’altro. Se si passa a considerare quali siano i toni toccati nel breve volgere di alcune battute dalla mutatio precedentemente esposta, si può vedere che, applicando la nomenclatura moderna che spetta ad essi di diritto, Kircher passa da un Fa maggiore ad un Sol minore, e quindi al Re minore per tornare al Fa. Sono tutte tonalità vicine, ma si tratta di un movimento così rapido che, nonostante il musarithmus si concluda con un movimento cadenzale V-I (una cadenza perfetta, quindi), non si riesce ad afferrare l’affermarsi di alcun centro tonale, ma si avverte unicamente un’imitazione della stessa cellula melodica su altezze diverse.

A proposito del divieto di transizione da una signatio all’altra, Kircher precisa che esso può essere ignorato per soddisfare particolari esigenze espressive, nel caso si volesse segnare bruscamente il passaggio (per esempio) dal gaudio alla tristezza. Qui egli sembra confondere l’alternanza di signatio con quello che noi definiremmo il passaggio da maggiore a minore (e viceversa): tuttavia già altrove Kircher ha spiegato che durus e mollis hanno una mera ragione traspositiva (MU A 231). Sarebbe comunque difficile riconoscere un rapporto fra qualitas toni e signatio. C’è per fortuna un punto, l’unico, in cui Kircher inquadra con sbrigatività ma con relativa chiarezza la questione. Si tratta del capitolo “De Mutatione Modi sive toni, sive stylo Metabolico”, (MU A 672), in cui egli esamina l’uso delle alterazioni cromatiche al fine di avere un cambiamento di “modo”; il cambiamento di modo è un procedimento che “solis peritioribus magistris notum est” (ibidem). La “mutatio Modi” esposta nelle stesse pagine viene descritta come qualcosa che somiglia molto ad un’alternanza fra maggiore e minore.

Putat musicorum vulgus, omnes illas cantilenas quas variis signis x, b, b, notatas intuentur, chromaticas aut enarmonicas esse. Error sane insignis. […] [hoc] dicetur mutatio toni. Hoc loco quidam discrimen ponunt inter modum & tonum.

A tale proposito Kircher mostra un passaggio della cantata I filosofi di Giacomo Carissimi, [203] nel quale si contrappongono espressivamente il riso di Eraclito e il pianto di Democrito (si veda in Appendice XXXI). Si può concludere che non la signatio ma la mutatio modi varia l’affectus di una composizione: semmai il divieto di non mescolare mollis e durus ha motivazioni strettamente armoniche e pratiche, derivanti dalla presenza o meno del bemolle in chiave.

Termina così l’esposizione dei “Canones sive Cautelis”. All’inopinata scoperta di un ulteriore nuovo metodo di variazione del musarithmus (il falso bordone) non ha corrisposto tuttavia un grande avanzamento sul piano della tecnica musicale. Per quanto riguarda soprattutto (ma non solo) scale e mutatio tonorum la sintassi musicale della musurgia mirifica è ancora molto elementare e rimane impostata su basi assolutamente empiriche. Forse il prossimo paragrafo riserva delle sorprese.

6.4 Regulae e Appendix: ancora tecnica

In conclusione alla sezione relativa al primo syntagma Kircher ha inserito alcune pagine dedicate all’ulteriore delucidazione di alcune questioni di carattere tecnico, che esaminiamo ora prima di un’analisi globale e particolareggiata della base materiale del linguaggio musicale del contrapunctus simplex, perché senza molto discostarvisi proseguono i temi sviluppati da Kircher nei dieci “Canones” esaminati in precedenza.

Nella “Regula I” (MU B 98) Kircher raccomanda di evitare la monotonia: cosa a suo parere facilissima da ottenere, avendo cura di non utilizzare per i versi intermedi di ciascuna strofa i musarithmi che hanno come due ultime note del basso le cifre 5 e 1 (cioè che si concludono su una cadenza perfetta). Il continuo moto cadenzale che costantemente ribadisce il tono deve essere evitato: meglio utilizzare nei versi intermedi linee di basso che cadenzano su altri gradi. Si tratta però di un avvertimento quasi superfluo, quanto meno per un qualsiasi carmen tetracolon, il componimento costituito da una (ma anche più d’una) strofa di quattro versiche è la forma assunta come standard da Kircher: in ogni pinax dal terzo in avanti i musarithmi sono già divisi in quattro gruppi relativi rispettivamente al primo, secondo, terzo e quarto verso (che Kircher, come abbiamo visto, chiama stropha).

Apprendiamo anche un metodo ancor più sbrigativo per realizzare la mutatio tonorum: invece di far riferimento ad altre colonne della Mensa Tonographica è sufficiente spostare verso l’alto di uno, due, tre o quattro posti la columna numerorum rispetto alla columna clavium.

Proseguendo, non appare nulla di nuovo: la “Regula II” (MU B 98) e la “Regula III” (ibidem) ribadiscono cose già sentite e solo la “Regula IV” (ibidem) si muove su un terreno ancora non toccato. Si apprende una regola empirica per assicurarsi che l’intervallo fra il settimo e l’ottavo grado di ogni scala siano a distanza di semitono, in modo che il settimo grado funzioni come una sensibile. Quasi è superfluo ricordare che Kircher si mantiene su un piano decisamente empirico e prosaico: non parla di semitono e meno che mai di sensibile, ma si limita ad affermare che le scale su Fa, Do e Sib non devono avere mai il settimo grado con il segno #, mentre al contrario nelle scale su Sol, La e Re il settimo grado deve essere sempre alterato, pur con le limitazioni imposte dal “Canon III” (MU B 69-70).

In queste pagine Kircher perde una volta per tutte l’occasione di esporre in qualche modo i motivi o le ragioni (intrinseche o estrinseche) che lo hanno portato da uno schema di scale mutuato da Glareano alla situazione delineata dalla “Mensa Tonographica”: neppure quando rammenta che “sempre sulle scale che partono da Re e da Sol il sesto grado deve avere il bemolle” (MU B 99) egli aggiunge alcunchè di esplicativo.

La quinta e ultima “Regula” (MU B 99) insegna come sia possibile modificare in caso di versi ipermetri la struttura ritmica delle notae metrometrae e lo schema armonico dei musarithmi di ciascun Pinax. Sarà sufficiente duplicare il penultimo numerus harmonicus e di conseguenza “bisecare” la penultima nota metrometra:

Il procedimento è stato già illustrato da Kircher in varie guise nella “Musurgia Rhythmica sive Poetica” (MU B 27-45). Ugualmente ricalcata su quelle pagine è il capitolo denominato “Appendix in Musurgiam Poeticam sive Rhythmicam” (MU B 100-102), nella quale vengono nuovamente esposte le modalità per ottenere delle serie di musarithmi che si adattino a versi che eccedono il numero massimo di dodici sillabe, semplicemente assemblando in strutture più ampie elementi (metri) più piccoli.

6.5 Basi materiali del contrapunctus simplex

Si rende necessaria in primo luogo una premessa: bisogna porre subito l’accento sul fatto che ogni valutazione armonica all’interno della musurgia mirifica è una interpretazione che giunge dall’esterno e non ha alcun riscontro nella sostanza dell’universo teorico del nostro autore anche se viene suffragata in modo irrefutabile dalla concretezza dell’esempio musicale con la quale coincide. Si tratta di un’operazione non solo plausibile ma doverosa, che deve trovare non motivi di dubbio ma conferme della propria legittimità e necessità nel tessuto schizofrenico della musurgia mirifica, lacerata dalla dicotomia insanabile fra una sfera teorica di stampo tradizionale e una sfera normativa di carattere più moderno ma priva di metodologia e poggiata su basi esclusivamente empiriche e su esempi pratici.

Senza dubbio si tratta di una testimonianza di quel momento della moderna sintassi armonica definita “nascente” da Bukofzer, [204] nel quale la pratica musicale sopravanzava e stravolgeva per i propri fini i risultati di ampie frange di letteratura teorica ancora legata ad antiche fonti e lungi dallo svecchiarsi. Ciononostante, viene da pensare (ma è una mia illazione che è impossibile verificare allo stato attuale degli studi) che gli esempi musicali all’interno della musurgia mirifica e di alcune parti della Musurgia Universalis siano state revisionate o realizzate da musicisti professionisti più al passo coi tempi: Athanasius Kircher, che ancora parlava del sistema dei toni in termini di modalità, e che ben difficilmente avrebbe potuto realizzare le musiche inserite nella sua opera senza essere consapevole di quel che faceva, forse non ne comprese le novità.

Kircher ha predisposto per l’operatore della musurgia mirifica undici pinaces che possono essere utilizzati per il contrapunctus simplex; essi richiamano da vicino nelle loro tipologie il contenuto esposto nel capitolo IV di questo studio, anche se è possibile riscontrare alcune differenze, soprattutto negli schemi di notae metrometrae. Questi undici pinaces sono:

1 Melothesias sive Contrapuncti simplicis. Voces Polysyllabae, quae Penultimam Longam habent 2, 3, 4, 5, 6 sillabe
2 Contrapuncti simplicis. Voces Polysyllabae, quae Penultimam Brevem habent 2, 3, 4, 5, 6 sillabe
3 Musarithmos continens pro Adonijs & Dactylicis aptos 5, 6 sillabe
4 Iambica Euripedaea penultima longa 6 sillabe
5 Anacreontica penultima longa 7 sillabe
6 Iambica Archilochica octosyllaba penultima brevia 8 sillabe
7 Iambica Enneasyllaba penultima longa 9 sillabe
8 Metra Decasyllaba penultima brevi 10 sillabe
9 Musarithmos Melotheticos Poeticos continens pro Phaleucijs Hendecasyllabis 11 sillabe
10 Pro Metris Sapphicis 11 sillabe
11 Dodecasyllaba penultima brevia 12 sillabe

Tabella

Non tutti i dodici toni della “Mensa Tonographica” possono essere applicati a tutti i pinaces: Kircher indica con cura accanto ad ogni pinax quali scale possano essere utilizzate. Per cercare di capire se esiste su questo piano una certa quale caratterizzazione di ciascuna tabella (legata magari al contenuto affettivo del metro poetico) ecco un elenco dei vari toni suggeriti (fra parentesi il modo di ciascun tono):

1 Tutti i toni eccetto il quarto (indef.) e il quinto (indef.).
2 Tutti i toni eccetto il quarto (indef.) e il quinto (indef.).
3 Tutti i toni, soprattutto il secondo (minore) e il sesto (maggiore).
4 Tono primo (minore), secondo (minore), terzo (minore), quarto (indef.), nono (minore) e decimo (minore) tono.
5 Tono primo (minore), secondo (minore), terzo (minore), quarto (indef.), nono (minore) e decimo (minore) tono.
6 Tono quinto (indef.), sesto (maggiore), ottavo (indef.), dodicesimo (maggiore).
7 Tono quinto (indef.), sesto (maggiore), ottavo (indef.), decimo (minore), dodicesimo (maggiore).
8 Tono quinto (indef.), sesto (maggiore), ottavo (indef.), undicesimo (maggiore), dodicesimo (maggiore).
9 Tono primo (minore), secondo (minore), terzo (minore), quarto (indef.) e settimo (maggiore).
10 Tono primo (minore), secondo (minore), terzo (minore), quarto (indef.), nono (minore), decimo (maggiore).
11 Tono quinto (indef.), sesto (maggiore), settimo (maggiore), ottavo (indef.), undicesimo (maggiore), dodicesimo (maggiore).

Tabella

Per quanto sia assolutamente vero, come afferma Scharlau, che la musurgia mirifica è costruita sulla dualità fra maggiore e minore, [205] è altrettanto facile constatare che i toni maggiori e minori sono troppo mescolati gli uni agli altri perché si possa dire che Kircher ha fatto in modo da caratterizzare con una precisa distribuzione dei toni la struttura generale della base musicale della musurgia mirifica. Evidentemente stava alla sensibilità dell’operatore, se lo riteneva necessario, scegliere in modo acconcio un tono piuttosto di un altro. L’importanza della scelta e della personale applicazione del metodo compositivo kircheriano viene per esempio sottolineata da Joseph Riepel, un commentatore parecchio successivo.[206]

Ogni pinax contiene i musarithmi e le relative notae metrometrae: esaminiamo subito quest’ultime, senza tuttavia dilungarci eccessivamente [e invece devi dilungarti] dal momento che abbiamo già affrontato l’argomento (in relazione ai metri poetici) nel capitolo precedente. Le notae metrometrae sono forse il vero punto di forza della musurgia mirifica così come Kircher l’ha elaborata: proprio l’avere introdotto una grande varietà ritmica consente di eliminare una buona parte dei rischi di monotonia e ripetitività che un metodo di composizione come questo porta inevitabilmente con sé, e separa radicalmente il progetto di Kircher dai tentativi successivi elaborati per esempio da Johann Philipp Kirnberger, Carl Philipp Emanuel Bach e addirittura Wolfgang Amadeus Mozart, ma anche da Mersenne. Sono tentativi che Scharlau definisce giustamente “poco seri”.[207] Erano basati sull’assemblaggio di parti predeterminate (per lo più battute singole o gruppi di battute) raggruppate per classi dalla funzionalità omologa: bisognava scegliere a caso una prima, seconda, terza, … trentaduesima battuta da ciascun gruppo di prime, seconde, terze, … trentaduesime battute.[208] Nulla a che vedere con la varietà consentita dalla musurgia mirifica.

Le minime differenze fra questi schemi di notae metrometrae e quelli esposti nella musurgia poetica consistono soprattutto in una diversa disposizione dei vari schemi ritmici: in questi pinaces le notae metrometrae non vengono presentate nell’ordine precedentemente adottato. Talvolta invece Kircher adotta una diversa scala di valori: trasforma un ritmo precedentemente tutto di semibrevi e minime in un ritmo di minime e semiminime. Ritengo che siano differenze del tutto sovrastrutturali e non determinanti: al massimo denotano una realizzazione della stampa frettolosa e una scarsa verifica del materiale.

La cosa veramente importante è però questa: rimane immutata la struttura della distribuzione degli accenti: la fondamentale funzione di tale struttura è già stata messa in luce nel capitolo precedente, sezione alla quale rimandiamo per un esame più dettagliato in merito, non ritenendo necessario dare luogo ad un’esposizione che ricalcherebbe in pieno le conclusioni cui già siamo giunti.

Passiamo ad esaminare il contenuto musicale dei pinaces. Gli eventi musicali che è possibile produrre con il metodo della musurgia mirifica possiedono, nel contrapunctus simplex, una marcata dimensione verticale, cioè armonica.[209] Il movimento omoritmico delle quattro voci presenta una sistemazione che non potrebbe essere più placidamente e palesemente tonale: la triade è la cifra di tutto l’insieme. Le quattro note dei musarithmi sono costruite sulle tre note della triade più il raddoppio di una di esse. L’unico sporadico caso di accordo di quattro suoni diversi (cioè un accordo di settima) è costituito dall’accordo sul quinto grado; non esiste neppure la possibilità di avere accordi alterati. Una volta giunti a parlare della triade, è singolare o quanto meno degno della massima attenzione il fatto che Kircher non abbia mai fatto cenno ad essa, anche se il concetto avrebbe potuto interessarlo molto, non solo sul piano tecnico-musicale ma anche, ancor di più, su quello simbolico, per tutti i significati che in campo religioso o esoterico il numero tre può assumere.[210]

Su basi numerologiche si regge anche la scelta di una disposizione a quattro voci: Kircher decise di adottare universalmente nella Musurgia Universalis tale assetto perché essa valeva per lui come la forma più naturale della polifonia vocale, in cui le quattro voci umane potevano trovare la miglior forma di amalgama.[211] Le quattro voci realizzano la forma più efficace di polifonia anche in considerazione del fatto che la natura stessa sembra essere articolata secondo il numero quattro, così come Kircher evidenzia in MU A 253:

[…] unde quemadmodum tota harmonia rerum in 4 elementorum perfecta commistione consistitita & tetraphonium ex quatuor vocibus veluti totidem elementis constitutum.

Il cantus corrispondeva al fuoco, l’altus all’aria, il tenor all’acqua e il bassus alla terra (MU A 218).[212]

[da qui in giù rivedere il paragrafo e rifare tutto]

Nella musurgia mirifica vengono utilizzate le triadi costruite sui primi sei gradi della scala (spetta al compositore decidere quale fra le dodici scale possibili); non si incontra mai la triade sul settimo grado. Queste sei triadi, trascritte nella loro forma fondamentale e senza raddoppi, appaiono così espresse in numeri harmonici:

5 6 7 8 2 3
3 4 5 6 7 8
1 2 3 4 5 6

(gradi della scala)

Tabella

[invece di cercare scuse fai dei calcoli]

Non è stato possibile individuare una qualsiasi regolarità nella scelta della nota da raddoppiare, anche se si è notato che più frequentemente della fondamentale viene raddoppiata la nota che occupa la posizione inferiore. L’accordo costruito sul quinto grado, che svolge la funzione della settima di dominante, si presenta invece con queste cifre, nella sua forma fondamentale e nei suoi tre rivolti:

4 5 7 2
2 4 5 7
7 2 4 5
5 7 2 4

Esempio

Naturalmente, non tutti questi accordi vengono utilizzati con la stessa frequenza: più usati sono naturalmente quelli sul primo, quarto e quinto grado, che compaiono rispettivamente nella percentuale del 30, 20 e 25 per cento circa, con oscillazioni minime fra un pinax e l’altro. I rimanenti accordi sul secondo, terzo e sesto grado sono molto meno frequenti (nel loro insieme raggiungono una percentuale del 25 per cento circa); inoltre sono più frequenti nelle tabelle dalla sesta all’undicesima (predisposte per i versi più lunghi) che non nelle tabelle relativa ai versi con un minor numero di sillabe: questo è naturale, data la ricerca di una relativa maggiore varietà in successioni più lunghe di accordi.

Successivamente [oppure adesso?] esamineremo le differenze funzionali fra le quattro colonne di ciascun pinax: per il momento cerchiamo di individuare delle tipologie nelle successioni di accordi. Le frasi dei musarithmi terminano con pochi e caratteristici tipi di cadenze: uniformemente diffusa è la cadenza perfetta, dal quinto al primo grado; in circa il 20% dei casi sul quinto grado viene utilizzata la settima. Ho potuto individuare solo casi sporadici in cui nel movimento dal quinto al primo grado la risoluzione della settima viene ritardata oppure viene ritardata la discesa del primo grado al settimo in moti cadenzali più complessi, articolati con accordi che passano dal quarto grado al quinto e poi finalmente al primo.

Ricorre con molto minore frequenza la cadenza plagale, dal quarto grado al primo. La cadenza perfetta e la cadenza plagale (quest’ultima in misura molto minore: il rapporto è di dieci a uno) esauriscono da sole praticamente tutto il repertorio dei pinaces per quanto riguarda le due colonne estreme. Non è un caso: la musurgia mirifica è articolata sulla cadenza di un testo diviso in strofe di quattro versi ciascuna; l’armonizzazione relativa al primo e, ancora di più, al quarto verso sottolinea con una cadenza perfetta il ritmo di questo schema. Di conseguenza le due strofe intermedie presentano una meggiore libertà cadenzale: prevalgono largamente i movimenti sospesi, che si dirigono soprattutto verso il secondo, quarto e sesto grado.

Ben altre considerazioni devono tuttavia emergere dall’esame delle concatenazioni di musarithmi: come già abbiamo sottolineato altrove, non esiste alcuna regola di transizione da una colonna all’altra. Il compositore può scegliere uno qualsiasi fra i dieci musarithmi di ogni singola colonna con la sola prescrizione di iniziare sempre la scelta dalla prima colonna, seguire alla seconda, poi alla terza e infine alla quarta. A parte questo egli gode della massima libertà. Si tratta di un carico troppo oneroso per un operatore amusus, cioè del tutto privo di cognizioni musicali e incapace di cogliere il rischio insito in tale operazione, che necessita invece di regole quando fra una colonna e l’altra gli accordi si dispongono come i due membri di una cadenza. Vediamo il perché.

Abbiamo detto che i musarithmi si concludono sempre attorno a poche tipologie cadenzali; questo non vuole dire che siano sempre le stesse. Per di più gli accordi sono presentati nella completa varietà dei loro rivolti e quindi la stessa constatazione dell’esistenza di strutture cadenzali omologhe non significa che tutte le conclusioni di un musarithmus possano allacciarsi senze problemi melodici o addirittura armonici al primo accordo del musarithmus successivo. Facciamo qualche esempio: si veda il “Pinax VII Iambica Enneasyllaba penultima longa” (Appendice XLIV); il musarithmus III-3 [213] si conclude su un accordo sul quinto grado e la sensibile viene cantata dall’altus. Ora questo accordo potrebbe essere proseguito dando naturalmente seguito alla cadenza perfetta, e così allacciarsi al musarithmus IV-1, che è costruito sul primo grado della scala. In questo musarithmus l’altus riprende con una nota sulla tonica il settimo grado su cui era rimasto sospeso l’altus della sequenza precedente, e il movimento sarebbe più che accettabile. Ma in assenza di norme di transizione, il compositore potrebbe invece sentirsi tentato dal musarithmus IV-5: sebbene esso sia costruito come il precedente sul primo grado, la distribuzione delle voci non osserva l’obbligato movimento ascendente della sensibile, perché l’altus canta sul quinto grado della scala mentre la tonica viene cantata da cantus e bassus.

Nuovamente compare l’esigenza di un contributo attivo dell’operatore, che deve saper evitare questi problemi sfruttando la possibilità (MU B 67) di scambiare fra loro le tre voci superiori.

Non sarà mai sottolineato abbastanza quanto la musurgia mirifica sia costellata ovunque da errori, che si mostrano particolarmente frequenti (al punto da costituire talvolta un problema) nelle pagine dense di numeri dei pinaces. Compaiono così musarithmi estremamente singolari, di cui presento qui di seguito un piccolo saggio:

[inserire capitoletto su adynata]

5 3 3 4 5 5 1 4
7 7 7 8 8 4 1 7
2 4 5 5 3 6 1 7
1 2 2 6 6 2 6 7

Esempio

Alcuni di questi musarithmi possono sembrare a prima vista degli accordi di settima costruiti sui vari gradi della scala, come ad esempio il terzo della serie (settima sul terzo grado) e il quinto (settima sul sesto grado); altri invece sono assolutamente inaccettabili, come gli ultimi due della serie. Tuttavia non sono neppure accettabili musarithmi come i primi due, perché una semplice analisi armonica dell’intera sequenza in cui sono inseriti mostra che la loro presenza non è assolutamente giustificata: le dissonanze non sono mai preparate né risolte e le parti non seguono alcun movimento regolare. Si può talvolta avere anche una conferma indiretta dell’errore: frequentemente Kircher ripete più volte in uno stesso pinax il medesimo musarithmus, ed è relativamente facile individuare, nel confronto fra sequenze esatte ed errate, dove stia l’errore di stampa. Valga questo esempio, tratto dal " Pinax III. Musarithmos continens pro Adonijs & Dactylicis aptos" (MU B 80; trascritto in Appendice XXXVI):

433222 433222
888667 88866__6 __
655445 655445
411225 411225

_giusto_ _sbagliato: errore in neretto_

Esempio

Appare chiaramente come l’errore possa essere attribuito ad una svista.

Una ulteriore conferma della natura “accidentale” di vari accordi di quattro suoni diversi presenti nelle tabelle numeriche, valga la considerazione (approfondita nella sezione successiva) che negli esempi pratici forniti da Kircher essi non vengono mai utilizzati. Caspar Schott nella sua Magia Universalis fa presente questa pecca dell’opera del maestro.[214]

Dal punto di vista melodico non c’è molto da dire, in quanto il musarithmus è strutturato in modo da privilegiare l’armonia, e le quattro voci possiedono una uguale importanza: nessuna di esse emerge dal tessuto dell’accordo.[siamo sicuri? Rivedere fino a fine paragrafo…] Non esistono quindi vere idee melodiche: questo è inevitabile nei musarithmi più brevi, relativi a metri poetici contraddistinti da un ridotto numero di sillabe, in quanto non possiedono un’estensione tale da consentire una “manovra” melodica di un certo respiro; tuttavia nemmeno nei musarithmi relativi ai metri poetici con un maggior numero di sillabe si nota una maggiore preoccupazione per l’invenzione melodica.

6.5.1 Saggi pratici: alcune analisi

Esaminiamo ora brevemente alcuni saggi pratici forniti dallo stesso Kircher come dimostrazione del proprio metodo compositivo. Tutti gli esempi utilizzano un testo tetracolon, cioè costituito da quattro versi, proprio per mostrare la funzione della struttura quadripartita dei pinaces.

Iniziamo con la “Melothesia Adonia” (MU B 78), trascritta in Appendice LIV: si tratta di un breve brano in Fa maggiore (Tono sesto). Il brano è piuttosto monotono, soprattutto per ragioni ritmiche: infatti come si può notare le notae metrometrae marcano con ossessiva regolarità la struttura dattilo-spondeo del metro adonius. La condotta armonica è molto semplice, senza accordi di settima o ritardi; non ci si allontana dai principali accordi, e la struttura articolata in quattro frasi è sottolineata da vistose cadenze: tutta la prima clausula è costituita da una cadenza perfetta; nella seconda ci si allontana dal primo grado, con una cadenza II-V, mentre nella terza si ritorna al primo grado con una cadenza perfetta; l’ultima clausula si conclude con una cadenza plagale.

Da notare la presenza di molti errori nella scrittura, che è stato possibile eliminare confrontando l’esempio con i musarithmi forniti da Kircher stesso. Nella nostra trascrizione gli errori sono fra parentesi, mentre la correzione è stata scritta immediatamente a sinistra della nota sbagliata.

Non molto diversa da quella del primo esempio è la struttura armonica della “Melothesia Iambica Euripedaea” (MU B 81), trascritta in Appendice LV. Dal punto di vista armonico, diciamo che le due clausulae estreme cadenzano sul primo grado, mentre le due interne non ribadiscono ulteriormente la tonica: la seconda conclude sul quinto grado e la terza si ferma sul terzo grado. La cosa più interessante è data dal fatto che il tono d’impianto è il Sol minore (Tono II). Il settimo grado si comporta come una sensibile e viene alterato con il diesis quando sale alla tonica. Si noti anche come nella cadenza sospesa II-V, con cui si conclude la seconda clausula, l’accordo sul secondo grado (dominante della dominante) abbia il Do alterato con il diesis in modo da svolgere la funzione di sensibile. Nessuna voce predomina sulle altre e non si riesce a individuare alcuna preoccupazione nella condotta melodica; non vengono infattu applicati particolari accorgimenti per la transizione da un musarithmus all’altro, come si può vedere dal Fa diesis (sensibile) cantato dall' altus nell’ultimo accordo della seconda clausula, che nella battuta successiva non risolve come dovrebbe su un Sol, ma scende inopinatamente al Re.

Proseguire ulteriormente nell’analisi di tutti i saggi pratici forniti da Kircher non sarebbe molto proficuo, perché essi non si distaccano dalla tipologia delineata da questi primi due esempi. Tuttavia in Appendice LVI-LIX si trovano le trascrizioni di tutti i brani esemplificativi di questa sezione della musurgia mirifica.

6.6 Riflessioni

Allo stato delle cose è possibile formulare un primo giudizio complessivo su questa prima parte della “Pars III”, dedicata da Kircher al contrapunctus simplex. In primo luogo bisogna dire che Kircher è riuscito ad ottenere un meccanismo in grado di funzionare, pur con tutti i limiti e i problemi contingenti che lo accompagnano. C’è di più: anche se abbiamo cercato, nei limiti del possibile, di procedere con molta progressività, evitando salti in avanti verso le sezioni che nella presunzione di Kircher dovrebbero essere le più proficue, tuttavia, sempre più frequenti incursioni in quei capitoli hanno mostrato, come vedremo meglio nel capitolo successivo, che le più interessanti e produttive operazioni compositive possono essere realizzate con i pinaces relativi al contrapunctus simplex. I pinaces per il contrapunctus floridus non consentono grosse libertà: se questo studio dovesse limitarsi alle tecniche di composizione che consentono variazioni del materiale musicale, potremmo senza rimpianti fermarci qui.

Studiando con attenzione questa sezione della musurgia mirifica relativa al contrapunctus simplex si avverte che Kircher ha perso la possibilità di creare qualcosa di molto più efficace, pur avendo mosso alcuni passi nella giusta direzione. In alcuni passi Kircher ha mostrato una particolare propensione per il “Processus per distincta membra” (MU B 58), nel quale non si assemblano interi versi ma segmenti, discriminati solo in base alla quantità della penultima sillaba: un meccanismo che cerchi di mettere il proprio operatore nella condizione di creare sempre nuovi assemblaggi del proprio materiale dovrebbe proprio basarsi su piccoli segmenti e non su lunghe strutture che sono più restie alla manipolazione. L’esempio da noi esaminato (invero molto semplice) mostrava come facilmente si potessero ottenere sette e più disposizioni di un unico verso: le possibilità di questo processus sono pressochè infinite. Tuttavia Kircher (MU B 58-59) aveva compreso la schiacciante potenzialità di questo procedimento:

Res in infinitum quasi variabilis est […]. Certum est in harum columnarum [quelle relative al procedimento per distincta membra] transpositione variaque applicatione multo maiorem combinationum varietatem, quam in precedente occurrere; Mutationes harum tantae sunt ut humano ingenio comprehendi minime valeant .

Tuttavia egli non ha approfondito l’argomento.

Decisamente il progetto della musurgia mirifica ha progressivamente mostrato sempre più di essere mirato sulle esigenze di una utenza disposta a pochi sacrifici nello studio della teoria e incline a preferire norme empiriche che comunque consentano di ottenere risultati con pochissimo sforzo. La musurgia mirifica a mio giudizio espone una tecnica dalle potenzialità indubbiamente rivoluzionarie ma spoglia di ogni inquadramento anche lontanamente teorico, non solo nell’esposizione ma soprattutto nell’impianto generale del progetto, quindi in definitiva non raggiunge completamente il proprio obiettivo. Si può affermare che in queste pagine dell’ottavo libro della musurgia mirifica sono registrate le vestigia superstiti di un successo mancato, che forse avrebbe potuto fiorire in uno strumento “poetico” dalle sofisticate possibilità, ma fu ridotto dal suo stesso autore al rango di giocattolo di società per amor di semplicità ed esigenze di “pubblico” o di committenza, quando non per scarsa consapevolezza del proprio operato.

L’esigenza di semplificare è denunciata dalla scarsa cura posta da Kircher nell’affrontare le motivazioni teoriche di una vasta serie di norme da lui enunciate e soprattutto dal non aver voluto approfondire gli spiragli più innovativi aperti dalla composizione meccanica. Paradossalmente tale situazione lo ha spinto a mio giudizio a dedicare alla musurgia combinatoria e alla musurgia poetica pagine astrattamente teoriche dal tono vagamente imbonitorio e dal carattere compilatorio, avulse dal contesto dell’opera; qui egli assume un atteggiamento che lo ha costretto a porre l’aspirante utente della musurgia mirifica nel ruolo dell’adepto cui si richiede un atto di accettazione fideistica, facilmente riscontrabile in tutto l’ottavo libro che è frequentemente inframmezzato da espressioni come “Quis non videt …"; “Omnes videre possunt …” le quali troncano ogni questione; si tratta di un atteggiamento quanto mai singolare in un opera che si proponeva di essere enciclopedica e universale.

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Toni proprie in scala dura contituuntur per tetrachordon diezeugmenon, id est per quartam […]. At moderno tempore ponuntur etiam in scala molli […] ex scala dura traspositi aut remoti ad quartam supra in scalam mollem” (MU A 231); “Notandum itaque primo: Musicos Modos proprie in scala dura poni, cum vero reperitur aliquis in scala molli, transpositus esse censebitur ad quartam supra ex scala dura in mollem.” (MU A 232). In merito a Glareano, così si esprime Clement A. MILLER, “Glarean”, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians, p. 422: “The background diatonic assemblage of course provided for one substantial and useful shift in relative pitch level through the two parallel systems of cantus durus and cantus mollis”.

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In merito a ciò si veda la parte relativa nel primo capitolo.

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Caspar Schott, Magia universalis Naturae et Artis, sive Recondita Naturalium et Artificialium rerum Scientia, cujus Ope per variam Applicationem activorum cum passivis, admirandorum effectuum Spectacula, abditarumque inventionum Miracula ad varios humanae vitae usus eruuntur. Opus qvadripartitum, Herbipoli, 1657 (I e II tomo), 1658 (II tomo), 1659 (IV tomo). Interessa soprattutto il “Syntagma VII De Magia Symphoniurgica”, p. 382 e sgg.

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Caspar Schott, Magia Universalis, op. cit., p. 412-413. A pagina 391 così si esprime: “Ego itaque Kircheri dispositionem sequar, & Modorum seu Tonorum ordinem constituam illum, qui in Tonographica Mensa proponitur ab ipso Kirchero lib. 8 Musurgiae Par. 3 cap. 2 Requisito 2, in quam tamen tabulam nonnulli errores irrepserunt, quos sustulimus” nonnulla deerant, quae supplevimus."

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“Kircher vertritt theoretisch noch einen konservativen Standpunkt, den er selbst in der Praxis stillschweigend ³berwindet. Inwieweit er sich selbst diese Widerspruchs bewußt war, bleibt offen.” Ulf Scharlau, Athanasius Kircher (1601-1680) als Musikschriftsteller, op. cit., p. 178.

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Henricus GLAREANUS, Dodecachordon, Basilea, Heinrich Petri, 1547 (tr. ingl. MSD, vi, 1965).

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Caspar Schott, §§ op. cit., tomo II, p. 412

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Cfr. Ulf Scharlau, Athanasius Kircher (1601-1680) als Musikschriftsteller, op. cit., pp. 176-178, nel capitolo IX/8 “Die Tonsysteme”.

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Martin Bukofzer, Music in the Baroque Era. From Monteverdi to Bach, New York (N.Y.), W. W. Norton & Company, 1947, (ed, it. a cura di Paolo ISOTTA, trad. di Oddo Piero BERTINI, Milano, Rusconi, 1982, p. 523).

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Zaccaria TEVO, Il Musico Testore, Venezia, appresso Antonio Bartoli, 1706 (ristampa anastatica: Bologna, Forni, s.d.). Si tratta di un’opera compilativa che utilizza un vasto numero di autori: Kircher vi occupa una parte non esigua, a testimonianza della sua fama. In merito all’argomento in questione si vedano le pp. 296-297.

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Negli stessi termini si espresse Gioseffo ZARLINO, Istitutioni harmoniche, Venezia, 1558, parte II, cap. IV, p. 84.

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Daniel P. WALKER, “Vincenzo Galilei and Zarlino”, in Studies in Musical Science in the late Renaissance, London, The Warburg Insitute, University of London/Leiden E.J. Brill, 1978, pp. 14-26 (ora passim in Paolo GOZZA, op. cit., pp. 179-186).

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La citazione si trova in GOZZA, op. cit., p. 180.

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Vedi in merito Paolo GOZZA, op. cit., “Introduzione”, p. 20.

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Vedi ad esempio MU A 455 circa il temperamento degli strumenti a tastiera.

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Mutuandolo da sant’Agostino, che fu il primo a formulare qualcosa di simile al concetto moderno di battuta. Si veda al riguardo Wilhelm SEIDEL, Rhythmus. Eine Begriffsbestimmung, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1976 (tr. it. di Carlo ANNIBALDI, Il ritmo, Bologna, Il Mulino, 1987, pp. 33-38).

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Vedi ancora Wilhelm SEIDEL, op. cit., pp. 45-61 e pp. 63-94.

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ibidem, p. 86.

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Citato anche da Caspar Schott, op. cit., tomo II, p. 387.

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Per tutta la questione la fonte è Willi APEL, The Notation of Polyphonic Music. 900-1600, Cambridge (Massachusetts), The Medieval Academy of America, 1953; ed. it. a cura di Piero NEONATO, La notazione della musica polifonica. Dal X al XVII secolo, Firenze, Sansoni, 1984.

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Sono le parole di Caspar Schott in: Athanasius Kircher, Organum Mathematicum Libris IX. explicatum a P. Gaspare Schotto, Soc. Jesu. Quo per paucas ac facillime parabiles Tabellas, intra cistulam ad modum Organi pneumatici constructam reconditas, pleraeque Mathematicae Disciplinae, modo novo ac facili traduntur, Herbipoli, Excudebat Jobus Hertz, 1668, libro IX, p. 796.

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Willi APEL, op. cit., pp 156-212.

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Willi APEL, op. cit., pp. 206-207.

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Willi APEL, op. cit., pp. 211-212.

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Circa la strutturazione a quattro voci come standard si veda infra la sezione §V.6.

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Giacomo CARISSIMI, I Filosofi, cantata per due soprani (Benigni, prima del 1650) §edita modernamente?§.

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Manfred F. Bukofzer, Music in the Baroque Era, op. cit., p. 502).

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Ulf Scharlau, Athanasius Kircher (1601-1680) als Musikschriftsteller, op. cit., p. 178.

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Joseph RIEPEL, Grundregeln zur Tonordnung insgemein, Frankfurt/M-Leipzig, 1755, p. 28.

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Ulf Scharlau, Athanasius Kircher (1601-1680) als Musikschriftsteller, op. cit., p. 353.

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Si veda in merito Fred. K. PRIEBERG, Musica ex machina. Uber das Verhältnis von Musik und Technik, Berlin-Frankfurt-Wien, Verlag Ullstein, 1960 (tr. it. di Paola Tonini, Musica ex machina, Torino, Einaudi, 1963).

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Ulf Scharlau, Athanasius Kircher (1601-1680) als Musikschriftsteller, op. cit., p. 177.

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ibidem. La triade veniva identificata con la Trinità: cfr. Rolf DAMMANN, Der Musikbegriff im deutschen Barock, Köln, Volk-Gerig, 1967 (2° ed., Laeber-Verlag, 1984), p. 40 e sgg.

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Ulf Scharlau, Athanasius Kircher (1601-1680) als Musikschriftsteller, op. cit., p. 188.

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Per le implicazione dell’uso del numero quattro si veda anche infra la sezione I.4.C.

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Ricordo che viene indicata con il numero romano la colonna (da sinistra verso destra) e con la cifra araba le linea di musarithmi (dall’alto verso il basso).

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Caspar Schott, op. cit., vol. II, p. 408. Il pinax si riferisce agli octosyllabi.

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