10. Dialogus à 6, sive Melothesia
10.1 Alcune considerazioni
Kircher ha deciso di non riportare nella Musurgia Universalis i pinaces della musurgia rhetorica, ma a scopo dimostrativo ha inserito in coda alla “Pars III” (MU B 166) una composizione che egli dichiara essere stata composta da un dilettante utilizzando tali tabelle:
Verum ne quispiam me plura quam probare possim, iactare dicere possit, hic speciminis loco apponere visum est, ingeniosam compositionem, quam artis meae ope perfecit.
La composizione inserita da Kircher è il Dialogus à 6, sive Melothesia vario style concinnata, ope novae Artis Musarithmicae peracta, (trascritta in Appendice CX-CXXXI) che sarebbe stata composta dal cardinale Bernardino Rocci, Referendarius presso papa Innocenzo X intorno al 1649.[260] Sebbene Rocci fosse del tutto digiuno di musica, la sua composizione, condotta secondo le regole della musurgia mirifica, è secondo Kircher (MU B 166) così perfetta che può senz’altro reggere il confronto con i capolavori scritti dai più grandi maestri:
Illustrissimus […] Dominus Bernardinus Roccius […] ingenij acumine, & praestantia insignis, qui tametsi musicae practicae imperitus, eas tamen artis nostrae notitia peregit compositiones, quae cum operibus summorum magistrorum merito comparari possint.
Kircher cita (ibidem) il compositore romano Giovanni Angelo Capponi come auctoritas che avrebbe supervisionato il lavoro di Rocci, esaminato il risultato finale trovandolo perfetto, e si sarebbe reso garante della correttezza della prova, condotta dal cardinale senza aiuti illeciti.[261] Il Dialogus sarebbe stato eseguito più volte con grande successo in diverse chiese di Roma: lo esamineremo brevemente per il suo valore documentario, anche se potrà dirci ben poco circa il presunto metodo compositivo della musurgia rhetorica.
Si tratta di una composizione di carattere sacro per quattro solisti (due soprani, un contralto e un basso), coro a sei voci (quattro soprani, contralto o controtenore,[262] basso), due strumenti solisti (violini) e basso continuo. Il testo è in parte tratto dall’Apocalisse di Giovanni: accanto a queste parti si trovano altri versi (probabilmente originali) dallo stile e dal lessico barocco, che ampliano i temi di Giovanni.
La composizione mostra di essere articolata in due sezioni: una prima parte che comprende un gruppo di brani solistici e una seconda parte costituita da un unico brano per il coro; entrambe le sezioni sono introdotte da un breve ritornello strumentale.
Le parti solistiche sono monodiche: sono state stampate la sola parte del canto e la linea del basso continuo con le cifre per la sua realizzazione. Lo stile è quello semplice e scorrevole del Bel Canto,[263] con idee melodiche brevi delimitate da frequenti cadenze; le armonie sono estremamente semplici, e gravitano sulle cadenze IV-V-I o II-V-I. La tonalità si mantiene sempre nell’ambito del Fa maggiore (tono VI Hypolydius): non si verificano vere e proprie modulazioni; solo il brano per il secondo soprano si conclude con una cadenza sul V grado.
Esaminiamo l’articolarsi della composizione. Dopo una “Symphonia a 3” che funge da praeambulum, affidata ai due violini e al basso continuo, il primo brano solistico è assegnato al basso che canta un breve brano tratto da Apocalisse, VII, 2-3: “Vidi Angelum ascendentem ab ortu solis habentem signum Dei vivi & clamavit voce magna quatuor Angelis quibus datum est nocere terrae & mari, dicens”: il ritmo inizia in proportio binaria (27 battute) per passare poi in proportio sesquialtera (7 battute) e tornare quindi al tempo iniziale (11 battute). : inizia in proportio binaria (27 battute) per passare poi in proportio sesquialtera (7 battute) e tornare quindi al tempo iniziale (11 battute). Prosegue quindi il contralto; il testo è solo in minima parte tratto da Apocalisse, VII, 3: “Nolite nocere terrae & mari quoniam illuxit felicitatis & gratiae desiderata cunctis gentibus in universo mundo”. Da questo punto il testo non utilizza più l' Apocalisse; inizia il primo soprano con la parole “Ad coelestis harmoniae dulce carmen & suave iubilate exultate cum gaudentes Angeli tuba canite laetantes decantantes Deo nostro gloriam”; prosegue il secondo soprano cantando “Festiua canamus in voce psallentes”.
In questi brani dovrebbe venire esaltata, secondo Kircher, l’espressività dello stilus recitativus, nel quale massimamente può risaltare il contenuto affettivo del testo.[264] In realtà si tratta di Arie dalla struttura molto semplice: data la limitata estensione di questi brani (da un minimo di 14 ad un massimo di 45 battute) non si nota un’articolazione di varie sezioni, ma piuttosto il rapido scorrere di brevi cellule melodiche frequentemente ripetute in progressioni armoniche per quarte discendenti (per esempio alle parole “quibus datum est nocere” nel brano per basso solo) oppure discendenti per grado congiunto (per esempio il melisma sulla parola “gratiae” nel brano per altus solo, oppure alla parola “desiderata” nello stesso brano).
Dopo i brani solistici segue un breve duetto tra i due soprano, che dovrebbe rappresentare lo stylus madrigalescus;[265] le due voci si rincorrono in un canone all’unisono. Il testo recita “Illi cantus illi voces & veloces personemus Cytharas”.
Il tema di questo duetto viene ripreso dal ritornello strumentale che lo segue, il cui stile, negli intendimenti di Kircher, corrisponde allo stylus hyporchematicus, ed è assegnato nuovamente ai due violini e al basso.[266]
Esaminiamo il brano corale, chiamato Dialogi Symphonismus à 6. Le sei parti del coro sono frequentemente divise in due gruppi di tre voci: il primo è composto da cantus I, cantus II e bassus; l’altro da cantus III, cantus IV e altus barytonus. I due gruppi intervengono alternati. Talvolta compare invece una strutturazione del coro in tre parti, con le voci raggruppate a due a due progressivamente dal basso verso l’alto.
Il brano dedicato al coro è piuttosto lungo (78 battute) ed è diviso in due sezioni: si inizia con una introduzione (29 battute) di tono patetico sul testo “Salus Deo nostro, Dominatori universae terrae”. Le voci riprendono costantemente una breve cellula melodica in una dimensione accordale che è modellata sullo stile del barocco romano, maestoso e monumentale nelle masse sonore.
Il tempo è in proportio tripla; a questa sezione fa seguito una parte (49 battute) in tempo binario con le parole: Benedictio, honor et imperium, et gloriosum nomen eius quoniam magnus est Deus noster et regni ejus non erit finis."
Questa sezione ha un carattere più movimentato: le cellule melodiche sono più strette e si nota maggiormente il processo imitativo. Possiamo individuare tre nuclei melodici: i primi due (alle parole “Benedictio, honor et imperium” e alle parole “et gloriosum nomen eius quoniam magnus est Deus noster”) molto brevi, mentre il terzo (sulla parole “et regni ejus non erit finis”) molto ampio, basato su una piccola cellula che risuona sempre più amplificata nelle varie voci.
Il Dialogus à 6 è una composizione senza dubbio espressiva nel suo complesso, decisamente adatta a propagandare con efficacia le possibilità della musurgia mirifica.
Purtroppo non è possibile in alcun modo entrare nel merito degli artifici compositivi che sono entrati in gioco perché Kircher non ha affrontato per nulla questo argomento: potremmo solo fidarci delle sue parole, quando afferma che Rocci ha composto il Dialogus utilizzando le tabelle del metodo compositivo mirificus. Questo ai fini della ricerca non è sufficiente, e quindi su questo argomento e a proposito di questa composizione non si può far altro che sospendere il giudizio: se mai le tabelle della musurgia rhetorica sono esistite, questa ne è la sola evidenza, purtroppo priva di riscontri esterni.
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